NIENTE ISEE PER AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO

NON BASTA L’ISEE PER VERIFICARE L’AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO

Quale reddito per il gratuito patrocinio?

Quale reddito ISEE per il gratuito patrocinio?

NIENTE ISEE PER AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO – A fine 2021 la Cassazione penale,  Sent., (data ud. 24/11/2021) 17/12/2021, n. 46159, torna sulla determinazione del reddito ai fini della individuazione della soglia che consente la ammissione al patrocinio a spese dello Stato escludendo il riferimento all’ISEE.

La norma

Quando il richiedente accesso al beneficio presenta domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non può omettere di dichiarare alcuna delle fonti di reddito, altrimenti viola il chiaro disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 3, che, nell’indicare le condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, non fa riferimento solo al “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale… risultante dall’ultima dichiarazione”, bensì anche ai “redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva “.

La Consulta

Come ha già avuto modo di precisare la Corte Costituzionale con la sentenza n. 382 del 1985, nell’affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio a spese dello Stato, che “nella nozione di reddito, ai fini dell’ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, – pur non rilevando agli effetti del cumulo – potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all’interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 c.c., quali il tenore di vita ecc.”.

Il detto orientamento giurisprudenziale è stato più ripreso dalla medesima Corte di Cassazione che ha chiarito come, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione dei limiti di reddito, rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte, vuoi perchè non rientranti nella base imponibile, vuoi perchè esenti, vuoi perchè di fatto non hanno subito alcuna imposizione.

La Cassazione

In conseguenze delle dette ragioni di individuazione dei redditi da utilizzare per la determinazione del raggiungimento della soglia reddituale massima che delimita l’accesso al beneficio di Stato, si deve prendere atto che l’ISEE (acronimo di “Indicatore della Situazione Economica Equivalente”) è un metodo per calcolare, valutare e confrontare SOLO la situazione economica di una famiglia e non consente di essere utilizzato per la indivudazione del reddito imponibile di riferimento. Infatti l’ISEE non si limita al solo reddito percepito, ma prende in considerazione la situazione economica, e dunque anche il patrimonio immobiliare e mobiliare della famiglia.

In particolare, esso è diverso dal dato richiesto dall’art. 76 del TUSG e non può essere considerato a tal fine: anche perchè, per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la cui norma istitutiva  è il D.P.R. n. 115 del 2002, si deve fare riferimento non solo al reddito imponibile, ma anche ad altri redditi esenti o soggetti a tassazione separata, che non vengono considerati per la determinazione dell’ISEE.

Pertanto, l’omessa indicazione nell’istanza di ammissione di redditi non presenti nell’ISEE e/o l’errata imputazione di detrazioni e deduzioni non consentite per la determinazione del reddito, ed invece permesse per la determinazione dell’ISEE, può condurre alla commissione del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, oltre che, in caso di sforamento dei limiti per l’ammissione, alla revoca del beneficio, con conseguente obbligo di restituzione allo Stato delle somme ingiustamente percepite.

Secondo la consolidata giurisprudenza della Corte di legittimità, in tema di patrocinio a spese dello Stato, nel caso di istanza che contenga falsità od omissioni, l’effettiva insussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, seppure non è necessaria per l’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, può, tuttavia, assumere rilievo con riguardo all’elemento soggettivo dell’illecito, quale sintomo del dolo (Sez. 4, n. 35969 del 29/05/2019, Arlotta, Rv. 276862).

L’elemento psicologico

Il reato di cui al D.P.R. cit., art. 95 – va ricordato- è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicchè il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante.

Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione.

Alberto Vigani

per Associazione Art. 24 Cost.

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DPR 115-2002 –  Art. 95 DPR 115-2002 (Sanzioni)

 1. La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37.

La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.

DPR 115-2002 – Art. 92  (Elevazione dei limiti di reddito per l’ammissione)

1. Se l’interessato all’ammissione al patrocinio convive con il coniuge o con altri familiari, si applicano le disposizioni di cui all’articolo 76, comma 2, ma i limiti di reddito indicati dall’articolo 76, comma 1, sono elevati di euro 1.032,91 per ognuno dei familiari conviventi.

DPR 115-2002 – Art. 76  (Condizioni per l’ammissione)

1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.766,33.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
4-bis. Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti.
4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto.

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NIENTE ISEE PER AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO

Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 24/11/2021) 17/12/2021, n. 46159

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. NARDIN Maura – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. RANALDI Alessandro – Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

C.B., nato il (OMISSIS);

avverso la sentenza del 17/05/2021 della CORTE APPELLO di MESSINA;

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso;

udita la relazione svolta dal Consigliere Dr. PEZZELLA VINCENZO;

lette le conclusioni scritte per l’udienza senza discussione orale (D.L. n. 137 del 2020, art. 23, comma 8), del P.G., in persona del Sost. Proc. Gen. Dr. Fimiani Pasquale, che ha chiesto l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Messina, pronunciando nei confronti dell’odierno ricorrente C.B., con sentenza del 17/5/2021 confermava la sentenza emessa in data 18/6/2020 dal Tribunale di Messina, appellata dall’imputato, che lo aveva condannato alla pena di un anno e quattro mesi per il reato di cui 2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, C.B., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Con un unico motivo il ricorrente deduce vizio motivazionale assumendo che la Corte distrettuale non si sarebbe confrontata con il proposto motivo di appello circa l’insussistenza della fattispecie contestata sul versante dell’elemento soggettivo.

Il difensore ricorrente evidenzia di avere censurato con il primo motivo di appello l’erronea applicazione della legge penale in relazione alla rigorosa analisi sulla sussistenza dell’elemento soggettivo del reato contestato.

E, dopo aver richiamato la giurisprudenza di questa Corte sulla prova del dolo nella fattispecie di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 (tra cui anche Sez. Un. 38343 del 24/4/2014, Espenhaln, Rv 26110501, chiarisce di avere contestato che il tribunale avesse motivatamente escluso che la negligenza del C. fosse consistita nell’avere per errore, nell’indicazione del reddito familiare fatto riferimento all’attestazione INPS sulla situazione economica familiare (ISEE), allegata all’istanza di ammissione al beneficio, senza considerare che la moglie aveva percepito 572 Euro a titolo di malattia infortunio e 1.714,31 Euro per prestazioni sociali erogate dai comuni, somme non ricomprese nella certificazione ISEE. Il C. – è la tesi sostenuta in ricorso – aveva fatto erroneamente riferimento alla dichiarazione ISEE, nella sua qualità di uomo medio, per ricavare il reddito complessivo del proprio nucleo familiare per l’anno 2012.

Ci si duole che la Corte di appello, nella propria decisione, avrebbe fatto riferimento esclusivamente a dati empirici, ritenendo la sussistenza quanto meno del dolo eventuale.

Si lamenta la mancanza di motivazione sulla colpa e/o negligenza dell’imputato e sul conseguente errore.

Il ricorrente sottolinea che, al contrario di quanto ritenuto nella sentenza impugnata, sarebbe evidente, da parte dell’imputato, un difetto di controllo, di natura colposa, rispetto ai requisiti richiesti per accedere al beneficio, dovendo, invece, informarsi se la certificazione ISEE rilasciata dall’INPS comprendesse anche i redditi esenti e soggetti a ritenuta alla fonte.

Dall’istruttoria dibattimentale sarebbe emerso con chiarezza che gli unici redditi, che hanno comportamento il superamento dei limiti, sono quelli sopra citati, senza i quali il C. avrebbe avuto i requisiti per l’ammissione al beneficio.

Nulla avrebbe detto l’impugnata sentenza sulla rigorosa dimostrazione del dolo richiesto dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95.

Viene, quindi, richiamato l’orientamento di questa Corte sulla configurabilità del dolo eventuale e sull’obbligo di motivazione, citando numerosi provvedimenti. Chiede, pertanto, l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

3. Il P.G. presso questa Corte Suprema in data 4/11/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte chiedendo l’annullamento con rinvio del provvedimento impugnato.

Motivi della decisione

1. I motivi sopra illustrati appaiono manifestamente infondati e, pertanto, il proposto ricorso va dichiarato inammissibile.

2. Il C. è stato chiamato a rispondere del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95 per avere falsamente attestato, nell’istanza di ammissione al gratuito patrocinio dello Stato, nell’ambito del procedimento penale n. 4775/11 RGNR, di avere percepito nell’anno 2012, in uno con i suoi familiari conviventi, un reddito pari a 12.428,00 Euro, mentre, in realtà, la moglie convivente M.A.S. aveva percepito tra lavoro dipendente, malattia e prestazioni sociali erogate per conto dei comuni, redditi per un totale di 15.339,31 Euro.

Con tale condotta, accertata dai giudici di merito, il C. ha illecitamente conseguito il beneficio dell’ammissione al predetto beneficio.

Ebbene, come già ricordava il giudice di primo grado, agli atti del fascicolo del dibattimento si riscontra l‘istanza di ammissione del 3 aprile 2014 (depositata il giorno successivo) del C., nella quale il predetto ha dichiarato di disporre di un “reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, compresi redditi esenti e soggetti a ritenuta alla fonte, non superiore a Euro 10.766,33… più Euro 1.032, 91 ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 92“.

L’imputato, dopo avere dichiarato la composizione del proprio nucleo familiare (oltre a se stesso, la moglie M.A. ed i figli L. e S., entrambi minori) attestava di essere titolare di un reddito imponibile, risultante dall’ultima dichiarazione, di 12.428,00 Euro specificando che “la famiglia non dispone di altri redditi imponibili”.

Allegava quindi copia attestazione INPS sulla situazione economica (ISEE) nella quale si fa chiaramente riferimento ai redditi percepiti nel 2012.

Escusso all’udienza del 24 aprile 2019, I.G., all’epoca dei fatti dirigente dell’Ufficio Misure di Prevenzione presso la Divisione Polizia Anticrimine della Questura di Messina, ha riferito che dagli accertamenti effettuati sul nucleo familiare del C. era emerso, invece, che nell’anno 2012 (oggetto della dichiarazione) mentre l’imputato non aveva prodotto alcun reddito, la moglie convivente M.A. aveva percepito un reddito da lavoro dipendente, dal 1 gennaio al 30 novembre 2012, pari a 13.113,00 Euro. Inoltre, per lo stesso periodo aveva conseguito una somma pari ad Euro 572,00 a titolo di malattia/infortunio oltre ad Euro 1.714,31 per prestazioni sociali erogati per conto dei comuni (in atti è stato acquisito anche il relativo estratto conto previdenziale).

Emerge quindi in via documentale come il C. abbia falsamente attestato la propria condizione economica nell’istanza di ammissione ai fini della fruizione del relativo beneficio che altrimenti non avrebbe conseguito.

Infatti, a fronte di una dichiarazione resa dall’imputato di essere stato percettore di un reddito imponibile nell’anno 2012 pari a Euro 12.428,00, dalla documentazione in atti è invece acclarato come lo stesso nell’anno in considerazione (ed anche negli anni successivi) non abbia percepito alcun reddito.

Per contro, a fronte della attestazione da parte del medesimo C. che la sua famiglia non disponeva di altri redditi imponibili, è stato accertato invece come nell’anno in contestazione la moglie convivente M.A. avesse percepito l’importo complessivo di Euro 15.399,31, superiore al limite previsto per l’ammissione al beneficio nell’anno della istanza (2014), ossia 10.766,33 +1,032,91+1032,01+1.032,91 (importo base aumentato in ragione dei familiari conviventi).

Attraverso tale condotta il C. ha conseguito l’ammissione al beneficio al quale, diversamente, ossia qualora avesse dichiarato circostanze corrispondenti al vero, non avrebbe avuto accesso.

3. Dalle suddette risultanze istruttorie emerge, dunque, per i giudici di merito in modo certo che l’imputato ha presentato una domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, omettendo di dichiarare una delle fonti di reddito, in tal modo violando il chiaro disposto del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 3, che, nell’indicare le condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, non fa riferimento solo al “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale… risultante dall’ultima dichiarazione”, bensì anche ai “redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva “. E del resto la Corte Costituzionale, già con la sentenza n. 382 del 1985, nell’affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio a spese dello Stato, ha precisato che “nella nozione di reddito, ai fini dell’ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga, anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, – pur non rilevando agli effetti del cumulo – potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all’interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 c.c., quali il tenore di vita ecc.”.

Tale indirizzo interpretativo è stato più volte confermato da questa Corte di legittimità, che ha chiarito come, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, per la determinazione dei limiti di reddito, rilevano anche i redditi che non sono stati assoggettati ad imposte, vuoi perchè non rientranti nella base imponibile, vuoi perchè esenti, vuoi perchè di fatto non hanno subito alcuna imposizione.

Conseguendone che rilevano anche i redditi da attività illecite ovvero i redditi per i quali l’imposizione fiscale è stata esclusa” (ex plurimis, Sez. 3, n. 25194 del 31.3.2011, Brina, rv. 250960, in un caso in cui l’imputato aveva falsamente dichiarato i redditi familiari nell’istanza di ammissione al patrocinio, omettendo in particolare di indicare le somme percepite, rispettivamente, dal padre, a titolo di TFR e, dalla sorella, a titolo di indennità di disoccupazione; conf. Sez. 4 n. 36362/2010; Corte Cost. sent. n. 144 del 1992).

Questa Corte di legittimità ha chiarito che ai fini della determinazione del limite di reddito per l’ammissione al beneficio, vanno calcolati tutti i redditi, compresi quelli soggetti a tassazione separata (così questa Sez. 4, n. 44140 del 26/9/2014, Seck, Rv. 260949 in relazione ad emolumenti percepiti a titolo di arretrati di lavoro dipendente; conf. Sez. 4, n. 41271 del 11/10/2007, Gulino, Rv. 237791).

4. Orbene, la linea difensiva che anche in questa sede la Difesa del C. propone è che egli abbia malamente fatto riferimento alle risultanze della dichiarazione ISEE e che ciò possa rilevare in relazione alla sussistenza dell’elemento psicologico.

L’ISEE (acronimo di “Indicatore della Situazione Economica Equivalente”) è un metodo per calcolare, valutare e confrontare la situazione economica di una famiglia. Lo stesso non si limita al solo reddito percepito, ma prende in considerazione la situazione economica, e dunque anche il patrimonio immobiliare e mobiliare della famiglia.

L’ISEE è spesso necessario quando si richiede una prestazione sociale o previdenziale agevolata (ad esempio il pagamento di buoni mensa, rette d’asilo, tasse scolastiche e universitarie) il reddito di cittadinanza o di emergenza, l’assegno unico per i figli, e tante altre agevolazioni.

Tuttavia, sin dal 2013, e precisamente con il D.P.C.M. 5 dicembre 2013, n. 159, avente ad oggetto “Regolamento concernente la revisione delle modalità di determinazione e i campi di applicazione dell’Indicatore della situazione economica equivalente (ISEE)”, si è chiarito, ove ve ne fosse stato bisogno che per “prestazioni sociali” accessibili con lo strumento dell'”ISEE” “si intendono, ai sensi del D.Lgs. 31 marzo 1998, n. 112, art. 128, nonchè della L. 8 novembre 2000, n. 328, art. 1, comma 2, tutte le attività relative alla predisposizione ed erogazione di servizi, gratuiti ed a pagamento, o di prestazioni economiche destinate a rimuovere e superare le situazioni di bisogno e di difficoltà che la persona umana incontra nel corso della sua vita, escluse soltanto quelle assicurate dal sistema previdenziale e da quello sanitario, nonchè quelle assicurate in sede di amministrazione della giustizia;…”. (D.P.C.M. n. 159 del 2013, art. 1).

L’ISEE, dunque, è un criterio non valido per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la cui norma istitutiva (il D.P.R. n. 115 del 2002) fa riferimento non solo al reddito imponibile, ma anche ad altri redditi esenti o soggetti a tassazione separata.

In particolare, l’omessa indicazione di redditi non presenti nell’ISEE e/o l’errata imputazione di detrazioni e deduzioni non consentite per la determinazione del reddito, ed invece permesse per la determinazione dell’ISEE, può condurre alla commissione del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, oltre che, in caso di sforamento dei limiti per l’ammissione, alla revoca del beneficio, con conseguente obbligo di restituzione allo Stato delle somme ingiustamente percepite.

Dell’ISEE, come della documentazione che comprovi il reddito imponibile, come ad esempio il modello 730, il modello UNICO, la certificazione unica per chi percepisce solamente la pensione o l’indennità di disoccupazione, etc., l’interessato potrà avvalersi solo come sua personale fonte di conoscenza sulla situazione reddituale della propria famiglia.

Ma, ricomprendendosi tra i redditi di cui al D.P.R. cit., art. 76 anche redditi che in quelli possono non comparire (perchè non soggetti a tassazione), o anche redditi percepiti “in nero” e finanche quelli derivanti da attività illecite, l’unico dato rilevante è la propria dichiarazione, con valore autocertificativo, non rilevando in alcun modo la fonte delle proprie conoscenze circa il reddito familiare.

5. Tuttavia, il ricorrente lamenta in questa sede che, pur dato per pacifico che non si possa fare riferimento all’ISEE, l’averlo fatto può incidere sulla sussistenza dell’elemento psicologico del reato.

E sul punto la Corte territoriale non avrebbe risposto allo specifico motivo di gravame nel merito.

Ebbene, anche sotto tale profilo la doglianza proposta è manifestamente infondata.

Sul punto, infatti, già il giudice di primo grado, con motivazione priva di aporie logiche, aveva risposto negativamente: “…sulla scorta di due argomentazioni.

Intanto, il falso accertato a carico dell’imputato consiste essenzialmente in una rappresentazione di un dato integralmente difforme dalla realtà, atteso che l’imputato, assumendo un contegno evidentemente malizioso, consapevole che la rappresentazione fedele della situazione patrimoniale del suo nucleo familiare gli avrebbe impedito l’accesso al beneficio, riconduceva a sè stesso un reddito da lui mai percepito, inferiore alla soglia stabilita dalla legge (mediante la produzione dell’ISEE, come è noto documento irrilevante nell’ambito della procedura di ammissione al beneficio), omettendo invece di dichiarare quanto effettivamente percepito dalla moglie, perchè ostativo alla positiva definizione della domanda.

A ciò si aggiunga come il C. vanti già una condanna per analoga fattispecie delittuosa commessa in data 2 febbraio 2010 e per la quale subiva sentenza di condanna in primo grado in epoca prossima alla commissione del fatto contestatogli in questa sede (sentenza del 3 novembre 2014, irrevocabile il 20 marzo 2015)” (così pag. 4 della sentenza di primo grado).

Ebbene, con tale motivazione, in concreto, il motivo di gravame nel merito non si confrontava criticamente (cfr. il primo motivo dell’appello del 31/10/2020 in atti a firma dell’Avv. Alvaro Riolo).

Il tema, con tutta evidenza è che non siamo di fronte, ad esempio, all’errato computo di deduzioni o detrazioni, ovvero all’omissione di una voce di reddito che l’odierno ricorrente può avere ritenuto che non andasse computato tra quelli di cui al citato D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76.

Nel caso in esame, siamo, invece, di fronte ad una dichiarazione radicalmente falsa, in cui il ricorrente ascrive a sè un reddito inesistente, evidentemente non casualmente inferiore a quello soglia per l’ammissione al beneficio, e poi oblitera oltre 15.000 Euro percepiti dalla moglie tra lavoro dipendente, malattia e prestazioni sociali erogatele dai comuni, reddito che l’avrebbe portato oltre il limite richiesto per l’ammissione al beneficio, pur tenuto conto degli aumenti per i familiari a carico.

L’avere il C.,all’epoca della dichiarazione di cui ci si occupa in questa sede,già in corso un procedimento penale per altra falsa attestazione reddituale in una procedura per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato (definito con sentenza del 3/11/2014 definitiva il 20/3/2015, come ricorda il giudice di primo grado) rende, peraltro, ancor più poco credibile che egli il 4/4/2014 non fosse a conoscenza di quali redditi dovesse indicare ai fini della nuova richiesta di concessione del beneficio.

Con tale dato di fatto i motivi di appello, così come l’odierno ricorso, non si confrontano, se non riaffermando genericamente che il riferimento al reddito ISEE può avere inciso sull’elemento soggettivo. Il che ha legittimato la Corte messinese a non ribadire quanto già aveva chiarito il giudice di primo grado.

6. La Corte territoriale ha dunque fornito una motivazione logica e congrua anche in punto di elemento soggettivo del reato, inteso come scelta consapevole, dato che dalla indicazione dei redditi omessi sarebbe derivato il rigetto dell’istanza per il superamento dei limiti previsti dalla legge.

Nè può versarsi in tali casi in ipotesi di errore ai sensi dell’art. 47 c.p., essendo stato ripetutamente affermato da questa Corte di legittimità che l’errore in ordine alla nozione di reddito valevole ai fini dell’applicazione della disciplina del patrocinio a spese dello Stato è errore inescusabile poichè il D.Lgs. n. 115 del 2022, art. 76 che disciplina la materia è espressamente richiamato dalla norma incriminatrice di cui all’art. 5 del medesimo decreto, dunque, non costituisce una legge extrapenale (così questa Sez. 4, n. 14011/2015; conf. Sez. 4, n. 37590 del 7/7/2010, Rv. 248404).

In tal senso la sentenza impugnata si colloca nel solco della giurisprudenza di questa Corte di legittimità secondo cui, in tema di patrocinio a spese dello Stato, nel caso di istanza che contenga falsità od omissioni, l’effettiva insussistenza delle condizioni di reddito per l’ammissione al beneficio, seppure non è necessaria per l’integrazione dell’elemento oggettivo del delitto di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 95, può, tuttavia, assumere rilievo con riguardo all’elemento soggettivo dell’illecito, quale sintomo del dolo (Sez. 4, n. 35969 del 29/05/2019, Arlotta, Rv. 276862).

Il reato di cui al D.P.R. cit., art. 95 – va ricordato- è figura speciale del delitto di falso ideologico commesso da privato in atto pubblico (art. 483 c.p.) e, come quello, ha natura di reato di pura condotta, sicchè il relativo perfezionamento prescinde dal conseguimento di un eventuale ingiusto profitto che, anzi, qui costituisce un’aggravante.

Consegue che il dolo del delitto in questione, essendo anch’esso costituito dalla volontà cosciente e non coartata di compiere il fatto e nella consapevolezza di agire contro il dovere giuridico di dichiarare il vero, non può essere escluso nel caso di specie in cui è stato anche motivatamente escluso un errore sull’identificazione dei redditi da inserire nella dichiarazione.

Il reato di pericolo, nel caso de quo, si ravvisa se non rispondono al vero o sono omessi in tutto o in parte dati di fatto nella dichiarazione sostitutiva, ed in qualsiasi dovuta comunicazione contestuale o consecutiva, che implichino un provvedimento del magistrato, secondo parametri dettati dalla legge, indipendentemente dalla effettiva sussistenza delle condizioni previste per l’ammissione al beneficio.

Qualsiasi elemento costitutivo del reddito familiare deve, dunque, essere oggetto di specifica indicazione.

In particolare, l’omissione della indicazione di redditi rilevanti riguardante la propria moglie la sussistenza dell’elemento psicologico del reato, non avendo peraltro l’imputato nemmeno fornito giustificazioni plausibili nell’atto di appello.

7. Essendo il ricorso inammissibile e, a norma dell’art. 616 c.p.p., non ravvisandosi assenza di colpa nella determinazione della causa di inammissibilità (Corte Cost. sent. n. 186 del 13.6.2000), alla condanna di parte ricorrente al pagamento delle spese del procedimento consegue quella al pagamento della sanzione pecuniaria nella misura indicata in dispositivo.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali e della somma di Euro tremila in favore della Cassa delle Ammende.

Conclusione

Così deciso in Roma, il 24 novembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 17 dicembre 2021

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