GRATUITO PATROCINIO: NO CUMULO REDDITI NON CONVIVENTI A CARICO FISCALMENTE

 

CASSAZIONE E GRATUITO PATROCINIO

CASSAZIONE E GRATUITO PATROCINIO

Gratuito patrocinio: non rilevano i redditi dei familiari fiscalmente a carico non conviventi per la verifica della soglia reddituale per l’ammissione

Il tribunale del merito aveva revocato il beneficio concesso al richiedente poichè egli risultava fiscalmente a carico del coniuge deducendo quindi che anche il reddito del coniuge era da computarsi nel reddito familiare che, così quantificato, in relazione agli anni d’imposta in questione, risultava eccedente rispetto ai limiti previsti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Il Richiedente sosteneva che in relazione agli anni d’imposta oggetto dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, i coniugi, sebbene non legalmente separati, vivevano e risiedevano in domicili e residenze diverse, addirittura in città diverse. Il dato era documentale.

Il decreto di revoca del patrocinio a spese dello Stato era stato impugnato dal richiedente revocato sulla base dell’argomentazione di diritto secondo cui D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2 stabilisce espressamente che solo se il richiedente il patrocinio convive con il coniuge e/o con altri familiari, il reddito familiare è costituito dalla somma dei redditi conseguiti dai conviventi.

Sul punto vi è già giurisprudenza della Corte di legittimità, come evidenziato con sentenza n. 17426/2018 – che richiama la sentenza 33428/2014, Rv. 261565- per la quale il reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è quello dei familiari conviventi e non anche quello dei familiari non conviventi fiscalmente a carico.

Pare quindi opportuno focalizzare l’attenzione sul fatto che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, ai fini della cumulabilità dei redditi per verificare se si abbia diritto all’ammissione al gratuito patrocinio, prende in considerazione i familiari conviventi.

Pertanto, deve ribadirsi che la nozione rilevante ai fini dell’ammissione e della conservazione del beneficio del gratuito patrocinio, non è quella di familiari a carico bensì quella di familiare convivente. E la definizione di familiari conviventi va letta in correlazione all’art. 79, comma 1, lett. b) che fa riferimento alla famiglia anagrafica del richiedente.

La Cassazione penale (08/10/2021, n. 36559) ribadisce che, ai fini di una corretta interpretazione della norma, è necessario evidenziare che il termine usato dalla legge è quello di “familiare” o di “componente della famiglia”.

Il termine, nella materia di cui trattasi, ha una sua specifica pregnanza avendo il legislatore, al fine di riconoscere il beneficio in esame a colui che non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il reddito familiare.

Non sarebbe conforme ai principi costituzionali di solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale, il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di un cittadino che può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare, ancorchè il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio.

Deve, dunque, ritenersi costituzionalmente orientata l’interpretazione che riferisce il termine “familiare”, non solo a coloro che sono legati all’istante da vincoli di consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e contribuiscono al menage familiare.

Coerente con tale impostazione è l’ormai consolidata giurisprudenza che ritiene vadano computati anche i redditi del convivente more uxorio (Sez. 4, n. 109 del 26/10/2005, dep. 2006, Curatolo, Rv. 232787; conformi: Sez. 4, n. 19349 del 17/2/2005, Capri, Rv. 231357; Sez. 4, n. 13265 del 28/1/2004, Zen, Rv. 228035), principio che si pone in termini di perfetta coerenza con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale che ha portato al riconoscimento della famiglia “di fatto”, quale situazione di rilevanza giuridica.

Riportiamo di seguito il testo integrale della sentenza Cass. 08/10/2021, n. 36559.

Avv. Alberto Vigani

per Associazione Art. 24 Cost.

***

Cass. pen., Sez. IV, Sent., (data ud. 22/09/2021) 08/10/2021, n. 36559

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE QUARTA PENALE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PICCIALLI Patrizia – Presidente –

Dott. FERRANTI Donatella – Consigliere –

Dott. CAPPELLO Gabriella – Consigliere –

Dott. PEZZELLA Vincenzo – rel. Consigliere –

Dott. PAVICH Giuseppe – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso proposto da:

Z.A.Z., nato il (OMISSIS);

avverso l’ordinanza del 23/03/2020 del TRIBUNALE di RIMINI;

udita la relazione svolta dal Consigliere PEZZELLA VINCENZO;

lette le conclusioni del PG.

Svolgimento del processo

1. Il Tribunale di Rimini, con provvedimento del 12/11/2018, vista la richiesta avanzata dall’Agenzia delle Entrate di Rimini, ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, avendo tale ufficio accertato che il reddito della richiedente il beneficio era superiore a quello fissato dalla legge per l’ammissione allo stesso, revocava l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato operata in data 17/1/2014 a favore di Z.A.Z. con recupero a carico dell’interessata delle somme eventualmente già liquidate al difensore.

Sul ricorso avverso la revoca, in data 23/3/2020, il Tribunale di Rimini rigettava l’opposizione alla revoca.

2. Avverso tale provvedimento ha proposto ricorso per Cassazione, a mezzo del proprio difensore di fiducia, Z.A.Z., deducendo i motivi di seguito enunciati nei limiti strettamente necessari per la motivazione, come disposto dall’art. 173 disp. att. c.p.p., comma 1.

Il difensore ricorrente, con due separati motivi, lamenta erronea applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2 e la manifesta illogicità della motivazione con cui è stata rigettata l’opposizione alla revoca in quanto la Z. in quanto, a suo dire, era da tempo separata di fatto dal marito e viveva altrove.

Il Tribunale di Rimini – si osserva – ha revocato il beneficio concesso a Z.A.Z. in data 17/1/2014 poichè quest’ultima risultava fiscalmente a carico (per gli anni d’imposta 2009, 2010 e 2011) del coniuge T.F., per cui il anche il reddito del coniuge veniva computato nel reddito familiare che, così quantificato, in relazione agli anni d’imposta in questione, risultava eccedente rispetto ai limiti previsti per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Sennonchè, si sostiene che già in relazione agli anni d’imposta oggetto dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate, i coniugi, sebbene non legalmente separati, vivevano e risiedevano in domicili e residenze diverse, addirittura in città diverse.

Il decreto di revoca del patrocinio a spese dello Stato emesso dal Tribunale di Rimini – ricorda il ricorrente-. è stato impugnato dalla Z., tramite il difensore, sulla base dell’argomentazione di diritto secondo cui D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2 stabilisce espressamente che solo se il richiedente il patrocinio convive con il coniuge e/o con altri familiari, il reddito familiare è costituito dalla somma dei redditi conseguiti dai conviventi.

Nella fattispecie si sostiene che così non è, perchè sarebbe documentalmente provato che già a partire dal 2009 (primo anno d’imposta oggetto dell’accertamento dell’Agenzia delle Entrate) e fino alla morte di T.F., avvenuta in data 1/8/2012, i due coniugi non erano più conviventi e la Z. risultava essere l’unico componente del suo nucleo familiare.

La non convivenza dei due coniugi non legalmente separati – prosegue il ricorrente- non era posta in discussione nemmeno dall’Agenzia delle Entrate di Rimini, che tuttavia chiedeva la revoca del beneficio precedentemente concesso alla signora Z. proprio sull’erronea equiparazione fra lo stato di convivenza e lo stato di coniuge fiscalmente a carico.

Nel ricorso introduttivo del giudizio di opposizione al decreto di revoca del patrocinio a spese dello Stato, il difensore ricorrente ricorda di avere evidenziato che per espressa giurisprudenza di questa Corte di legittimità, come da ultimo evidenziato con sentenza n. 17426/2018 – che richiama la sentenza 33428/2014, Rv. 261565- il reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è quello dei familiari conviventi e non anche quello dei familiari non conviventi fiscalmente a carico.

Nella motivazione, si è precisato che tale interpretazione risulta coerente con le diverse finalità sottese alla disciplina del patrocinio a spese dello Stato e di quella relativa alla regolamentazione tributaria. Quest’ultima, nel prendere in esame il caso del familiare non convivente fiscalmente a carico, mira a dare rilevanza all’incidenza del peso determinato dal familiare, ancorchè non convivente, sul contribuente dichiarante. Per contro, la disciplina del patrocinio a spese dello Stato individua il reddito compatibile con il beneficio in rapporto allo stato di convivenza, ravvisando in essa una condizione fattuale che determina per ciascun familiare la possibilità di far affidamento non solo sul proprio reddito ma anche su quello degli altri familiari conviventi.

Pertanto, per il difensore ricorrente deve concludersi che la nozione rilevante ai fini dell’ammissione e della conservazione del beneficio del gratuito patrocinio, non è quella di familiari a carico bensì quella di familiare con vivente.

Il Tribunale di Rimini, nell’ordinanza impugnata, laddove afferma che “il principio secondo cui, ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, debbono essere cumulati esclusivamente i redditi dei familiari conviventi non possa trovare applicazione nel caso del coniuge, sul quale grava un preciso dovere di coabitazione, dalla cui violazione egli non può trarre vantaggi” argomenterebbe in punto di diritto in termini platealmente erronei e destituiti di qualsiasi fondamento giuridico.

Al contrario di quello che afferma il Tribunale di Rimini -prosegue il ricorso- lo stato di convivenza costituisce il presupposto per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2. E nel caso di specie sarebbe documentalmente provato che tale stato non sussiste essendo i coniugi – sebbene non legalmente separati – domiciliati, dimoranti ed effettivamente residenti in abitazioni e città diverse.

Le argomentazioni sopra riportate evidenzierebbero come solo alla condizione fattuale di convivenza sia direttamente riconnessa per ciascun familiare la possibilità di fare affidamento su quello degli altri familiari conviventi.

Il reddito del coniuge non legalmente separato può essere computato nel reddito familiare D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 76, comma 2 – secondo la tesi proposta in ricorso- solo se ancora convivente/coabitante con l’istante: ci riferisce alle separazioni di fatto che però non originano una situazione di cessata convivenza.

La corretta applicazione della norma in questione presuppone per il ricorrente unicamente lo stato di convivenza e non consente di tenere in considerazione nè lo stato di coniuge fiscalmente a carico nè quello di coniuge non legalmente separato.

L’erronea applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2, operata dal Tribunale di Rimini sarebbe però, in ogni caso, il frutto di una motivazione manifestamente illogica laddove il giudice territoriale sostiene: 1. “che, ai fini della determinazione del reddito della parte ammessa al patrocinio a spese dello Stato e dei suoi familiari, non possa attribuirsi rilievo alla circostanza che i coniugi abbiano violato il dovere di coabitazione, il quale cessa esclusivamente con l’autorizzazione presidenziale, insieme al procedimento di separazione, a vivere separati”; 2. che “dalla violazione di tale obbligo, non sia dato inferire la violazione dell’ulteriore obbligo di mantenimento e assistenza materiale gravante sui coniugi, di tal chè non sussistono elementi per escludere i redditi del marito, non legalmente separato, dal computo dei redditi della parte ammessa”; 3. che “d’altra parte, l’ammissione al patrocinio non possa dipendere dalla mancanza di un formale provvedimento di separazione, che – ove intervenuto – avrebbe verosimilmente regolato anche l’obbligo di mantenimento del coniuge non abbiente da parte dell’altro, attraverso la corresponsione di un assegno, che sarebbe confluito nella determinazione del reddito della ricorrente”.

La sola lettura di queste considerazioni, ad avviso del ricorrente, farebbe emergere palesi difetti motivazionali sia sotto il profilo della manifesta illogicità che sotto quello della contraddittorietà. Si ribadisce che l’unica nozione rilevante ai fini dell’ammissione al beneficio è quella del familiare convivente.

Chiede, pertanto, l’annullamento del provvedimento impugnato.

3. Il P.G. presso questa Corte in data 1/9/2021 ha rassegnato le proprie conclusioni scritte ex art. 611 c.p.p., chiedendo annullarsi il provvedimento impugnato con rinvio al Presidente del Tribunale di Rimini.
Motivi della decisione

1. I motivi sopra illustrati appaiono fondati e, pertanto, il provvedimento impugnato va annullato con rinvio per nuovo esame al Presidente del Tribunale di Rimini.

2. Ed invero occorre focalizzare l’attenzione sul fatto che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, ai fini della cumulabilità dei redditi per verificare se si abbia diritto all’ammissione al gratuito patrocinio, prende in considerazione i familiari conviventi.

Fondato, dunque, è il rilievo del ricorrente secondo cui altra cosa è il familiare fiscalmente a carico.

Questa Corte di legittimità -come ricordato in ricorso- ha chiarito (Sez. 4 n. 17426 del 15/3/2018, Parisi, non mass. che richiama Sez. 4, n. 33428 del 7/3/2014, Zulian, Rv. 261565) che il reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è quello dei familiari conviventi e non anche quello dei familiari non conviventi fiscalmente a carico.

Nella motivazione di tale pronuncia si è precisato che tale interpretazione risulta coerente con le diverse finalità sottese alla disciplina del patrocinio a spese dello Stato e a quella relativa alla regolamentazione tributaria. Quest’ultima, nel prendere in esame il caso del familiare non convivente fiscalmente a carico, mira a dare rilevanza all’incidenza del peso determinato dal familiare, ancorchè non convivente, sul contribuente dichiarante. Per contro, la disciplina del patrocinio a spese dello Stato individua il reddito compatibile con il beneficio in rapporto allo stato di convivenza, ravvisando in essa una condizione fattuale che determina per ciascun familiare la possibilità di far affidamento non solo sul proprio reddito ma anche su quello degli altri familiari conviventi.

Pertanto, deve ribadirsi che la nozione rilevante ai fini dell’ammissione e della conservazione del beneficio del gratuito patrocinio, non è quella di familiari a carico bensì quella di familiare convivente. E la definizione di familiari conviventi va letta in correlazione all’art. 79, comma 1, lett. b) che fa riferimento alla famiglia anagrafica del richiedente.

Tuttavia, ai fini di una corretta interpretazione della norma, è necessario evidenziare che il termine usato dalla legge è quello di “familiare” o di “componente della famiglia”. Il termine, nella materia di cui trattasi, ha una sua specifica pregnanza avendo il legislatore, al fine di riconoscere il beneficio in esame a colui che non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, voluto tenere conto della capacità economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il reddito familiare. Non sarebbe conforme ai principi costituzionali di solidarietà, equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale, il fatto di gravare i contribuenti del costo della difesa di un cittadino che può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il nucleo familiare, ancorchè il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio. Deve, dunque, ritenersi costituzionalmente orientata l’interpretazione che riferisce il termine “familiare”, non solo a coloro che sono legati all’istante da vincoli di consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e contribuiscono al menage familiare.

3. Coerente con tale impostazione è l’ormai consolidata giurisprudenza che ritiene vadano computati anche i redditi del convivente more uxorio (Sez. 4, n. 109 del 26/10/2005, dep. 2006, Curatolo, Rv. 232787; conformi: Sez. 4, n. 19349 del 17/2/2005, Capri, Rv. 231357; Sez. 4, n. 13265 del 28/1/2004, Zen, Rv. 228035), principio che si pone in termini di perfetta coerenza con la significativa evoluzione sociale, normativa e giurisprudenziale che ha portato al riconoscimento della famiglia “di fatto”, quale situazione di rilevanza giuridica.

Cosicchè, muovendo dalla evidente necessità di porre l’accento sulla realtà sociale piuttosto che sulla veste formale dell’unione tra due persone conviventi, è stata riconosciuta valenza giuridica a quella relazione interpersonale che presenti carattere di tendenziale stabilità, natura affettiva e para familiare, che si esplichi in una comunanza di vita e di interessi e nella reciproca assistenza morale e materiale (nella prima pronuncia citata, la Corte richiama, tra gli altri, il principio formulato dalla giurisprudenza civile di legittimità, secondo cui deve attribuirsi rilievo, quanto alla corresponsione dell’assegno divorzile dovuto in conseguenza di scioglimento del matrimonio, al rapporto di convivenza more uxorio – caratterizzato da stabilità, continuità e regolarità – eventualmente instaurato dal coniuge beneficiario dell’assegno stesso, rinviando a Sez. 1 civ., n. 11975/2003).

Dunque, fondatamente la ricorrente rileva che il provvedimento impugnato introduce temi (il dovere di coabitazione, l’obbligo di mantenimento e l’esistenza di una formale separazione tra i coniugi) che nulla hanno a che vedere con il beneficio revocato.

L’esistenza o meno di un’autorizzazione presidenziale dei coniugi in via di separazione a vivere separati può rilevare esclusivamente ai fini della prova della convivenza o meno degli stessi. Ma -va ribadito con chiarezza – D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, non lascia alcun dubbio che la nozione rilevante ai fini dell’ammissione e della conservazione del beneficio sia la situazione di fatto della convivenza (cfr. anche sez. 4 n. 17426/2018 non mass.).

4. Quella che il giudice è chiamato a valutare in sede di ammissione -e quindi anche di revoca- al patrocinio a spese dello Stato è la situazione di fatto della convivenza.

Il primo elemento da prendere in considerazione, dunque, sono le risultanze anagrafiche (il c.d. “stato di famiglia”). Tuttavia, quanto alla prova di tale convivenza, poichè essa realizza una situazione di fatto e non di diritto, questa Corte di legittimità ha chiarito che non può scaturire solo dalle risultanze anagrafiche, ma può essere tratta da ogni accertata evenienza fattuale che dia contezza della sussistenza del rapporto (così la già citata Sez. 4 n. 19349/2005).

Trattandosi di coniuge, ai fini della prova, la circostanza della convivenza si presume – e dunque qui rileva l’assenza di una separazione legale o comunque del ricordato provvedimento presidenziale che autorizza i coniugi a vivere separatamente- per cui, in situazioni come quella che ci occupa, è la diretta interessata a dover dare prova della sussistenza di una situazione di fatto contraria a tale presunzione.

Diversamente, va ricordato, il divorzio, ove intervenuto, fa venir meno quella presunzione di convivenza dei coniugi cui è correlata la cumulabilità dei rispettivi redditi; tuttavia, la pronuncia della sentenza di cessazione degli effetti civili non comporta, ex se, necessariamente, l’effettiva cessazione di quella convivenza dei coniugi alla quale è correlata la cumulabilità, ai suddetti fini, dei redditi (Sez. 4, n. 14442 del 13/1/2006, De Marco, Rv. 234027, in cui la Corte ha ritenuto corretto e congruamente motivato il provvedimento che aveva respinto l’istanza di ammissione al patrocinio, per superamento dei limiti di reddito, in una vicenda in cui l’istante, pur essendo divorziato, era risultato ancora convivente con la moglie, perchè tale risultava all’anagrafe e perchè nell’abitazione comune risultava detenuto agli arresti domiciliari).

Si è osservato che il riferimento alla convivenza svelerebbe la propria inadeguatezza nelle applicazioni giurisprudenziali del sistema del computo del reddito familiare, in quanto, infatti, non dovrebbe farsi riferimento alla mera coabitazione, bensì alla convivenza, connotata da comunanza di vita e di interessi costitutiva di un legame stabile.

In realtà il concetto di convivenza serve a tenere fuori dalla portata della norma i casi di mera coabitazione del tutto temporanea e transitoria, quale, ad esempio, quella di chi ospiti temporaneamente, per un breve periodo, un amico o un parente. In assenza di sporadicità e di stratta temporaneità, la stabile coabitazione altro non è che convivenza.

Perciò il Collegio non ritiene condivisibile la pronuncia, rimasta invero isolata, in cui si è affermato che, nella determinazione del reddito complessivo, rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, non si tiene conto dei redditi facenti capo al coniuge in stato di separazione di fatto, pur di fronte ad una persistente coabitazione, giacchè quest’ultimo, pur coabitando, non compie alcuna attività concreta di contribuzione alla vita familiare (Sez. 4, n. 29302 del 24/04/2014, Volpini, Rv. 262236).

In quella sede, si è rilevato – non condivisibilmente ad avviso del Collegio-che, secondo il disposto e la ratio della disposizione citata, non è sufficiente la mera situazione di fisica convivenza odi mera coabitazione per includere toutcourt i redditi del soggetto coabitante o convivente nel coacervo reddituale del soggetto istante perchè possono verificarsi situazioni nelle quali la mera coabitazione non equivale ad effettiva contribuzione del coabitante, situazioni la cui fenomenologia è certamente transitoria (separazioni “in casa” e “di fatto”, che preludono ad ulteriore formalizzazione e sviluppo) e che non autorizzano di certo la presunzione di un incremento reddituale sulla base del solo dato formale della (temporanea) coabitazione in attesa della definitiva separazione.

5. Orbene, nel caso che ci occupa, dal provvedimento impugnato, e da quello di revoca del Tribunale di Rimini del 2018 non si evince se -come afferma il difensore ricorrente- la Z. fosse separata di fatto dal marito e vivesse addirittura in un’altra città.

Tale situazione di fatto deve risultare, in primis, dalla sopra ricordata situazione all’anagrafe comunale. Ma con tutta evidenza ciò non basta, perchè si potrebbe trattare di una situazione formale, non di rado posta in essere da coniugi titolari di più unità immobiliari, a meri fini fiscali.

Ciò che rileva è l’effettiva non convivenza e, pertanto, la circostanza che il coniuge separato di fatto, presso il diverso sito ove afferma di vivere, sia, ad esempio, titolare di utenze per forniture di servizio o beni essenziali quali acqua, energia elettrica, etc..

Ciò dovrà essere verificato dal giudice del rinvio, previe le necessarie produzioni delle parti, viceversa operando la presunzione di coabitazione tra coniugi non legalmente separati. Corroborata, peraltro, dalla circostanza che è emersa dagli accertamenti fiscali che l’odierna ricorrente fosse fiscalmente a carico del marito. Ed essendo stata nel qual caso legittimamente revocata l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

P.Q.M.

Annulla il provvedimento impugnato e rinvia per nuovo esame residente del Tribunale di Rimini.
Conclusione

Così deciso in Roma, il 22 settembre 2021.

Depositato in Cancelleria il 8 ottobre 2021

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