REQUISITI PATROCINIO A SPESE DELLO STATO: CUMULO REDDITUALE DEI COMPONENTI IL NUCLEO FAMILIARE

 GRATUITO PATROCINIO: PERCHE’ DEVO CUMULARE IL MIO REDDITO CON QUELLO DEI CONVIVENTI?

Nucleo familiare e gratuito patrocinio

Nucleo familiare e gratuito patrocinio

La norma è tassativa, umanamente iniqua ma tassativa. All’epoca dei romani si sarebbe detto: dura lex, sed lex.

Lo dice la Cassazione: se l’interessato convive con altri familiari, anche non consaguinei o affini, il reddito di riferimento è sempre costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia allargata.

In realtà, la questione è ancor più difficile da accettare se teniamo conto che la Cassazione ha ribadito la necessità del cumulo reddituale di tutti i componenti del nucleo familiare appunto in materia penale, dove il tetto reddituale non è solamente di euro 11.528,41 (dato al 20 settembre 2015) perchè, in tale caso, si ha appunto la maggiorazione di euro 1.032,00 per ogni familiare a carico. La questione appare perciò ben più pesante in ambito civile dove non vi è la maggiorazione ora descritta e si può avere l’ammissione solo nel qualora il reddito familiare sia complessivamente di soli euro 11.528,41 al netto degli oneri deducibili (che vanno sottratti dall’imponibile, come abbiamo spiegato qui).

La Corte di Cassazione – Sezione Quarta penale – con la sentenza n. 44121 del 13.11.2012 (per esteso alla fine dell’articolo) ha infatti precisato che il poter fruire dell’apporto economico dei vari componenti il “nucleo familiare” (anche solo di fatto) renderebbe l’ammissione del soggetto compatibile con il suo solo reddito in contrasto con i principi costituzionali

  • di solidarietà,
  • di equa distribuzione
  • e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale.

Nel determinare il reddito utile al’accesso al beneficio si fa perciò riferiento non più ai soli familiari, componenti del nucleo familiare originario, uniti all’istante da vincoli di parentela o affinità, bensì anche a quei componenti che, convivendo e contribuendo ognuno di essi, sia dal punto di vista economico che collaborativo, alla vita in comune, costituiscono il nucleo familiare.

In altre parole, e passando ad una lettura sociale e tributaria della decisione, siccome la convivenza permetterebbe di avere una distribuzione reddituale all’interno del nucleo familiare di difficile disciplina e di facile – se non apposita – confusione dei proventi, si ritiene che il solo fatto di condividere con una famiglia allargata un percorso di vita renda necessario il cumulo reddituale.

Altrimenti la gestione “agevolata” dei redditi nei nuclei familiari lederebbe i diritti costituzionali di tutti coloro che non hanno una molteplicità di redditi in famiglia.

Ad ogni buon conto è anche vero che la norma afferma esplicitamente: “…se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia…” senza null’altro precisare.

Insomma, di fatto la sentenza in commento mette nero su bianco quella che è la rappresentazione demografica del tessuto sociale italiano con famiglie sempre meno ancorate al vincolo giuridico del coniugio o della discendenza. Viene così validata anche costituzionalmente l’interpretazione del termine “familiare” estensibile a coloro che convivono con lui e contribuiscono al “menage” familiare.

Di seguito si riporta il testo integrale della sentenza indicata con le parti di maggior interesse evidenziate in grassetto.

Alberto Vigani


LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE
SEZIONE QUARTA PENALE
Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:
Dott. BRUSCO Carlo Giuseppe – Presidente –
Dott. FOTI Giacomo – Consigliere –
Dott. D’ISA Claudio – rel. Consigliere –
Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –
Dott. DOVERE Salvatore – Consigliere –
ha pronunciato la seguente:
sentenza
sul ricorso proposto da:
I.D. ;
avverso l’ordinanza n. 8/2004 del Tribunale di Brindisi – Sezione distaccata di Fasano -del 29.06.2005;
Visti gli atti, l’ordinanza ed il ricorso;
Udita in udienza camerale del 20 settembre 2012 la relazione fatta dal Consigliere dott. Claudio D’Isa;
Lette le conclusioni del Procuratore Generale che ha chiesto dichiararsi l’inammissibilità  del ricorso.

Motivazione

I.D. propone ricorso in Cassazione avverso l’ordinanza, in epigrafe indicata, con cui il Tribunale di Brindisi ha rigettato l’opposizione avverso il provvedimento di revoca di ammissione al patrocinio a spese dello Stato emesso il 28.04.2004 dal Tribunale dello stesso capoluogo – sezione distaccata di Fasano -.
Si premette che a seguito di due diverse istanze, relative rispettivamente ai procedimenti nn- R.G. N. R. 209/99, R.G. Trib. 300/02 e R.G.R.N. 5598/99, R.G. Trib. 321/03, il ricorrente era stato ammesso al patrocinio a spese dello Stato.
Successivamente i due procedimenti penali venivano riuniti ed, in riferimento all’attività svolta, il difensore di fiducia, avv. F. L., chiedeva la liquidazione degli onorari.
Con decreto depositato in data 3.05.2004 il G.O.T. revocava ex officio i decreti di ammissione dell’ I. al patrocinio a spese dello Stato e rigettava l’istanza di liquidazione delle competenze.
Proposta rituale opposizione ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 99 veniva emessa l’ordinanza impugnata.
Con un primo motivo si denuncia violazione di legge nella specie del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 97, 99 e 112 in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5.
Si eccepisce che la revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio a spese dello stato può essere pronunciata solo per le ipotesi previste dall’art. 112 del citato D.P.R., così come, per altro affermato dalla S.C. a SS.UU. con sentenza n. 36168 del 10.09.2004.
Con il secondo motivo si denuncia altra violazione di legge ed in particolare del D.P.R. n. 115 del 2002, artt. 72 e 92 in relazione all’art. 360 c.p.c., commi 3 e 5. Si argomenta che erroneamente il G.O.T., con il provvedimento di revoca, ha ritenuto di dover cumulare il reddito dell’istante con quello di R.V., madre della sua convivente, la quale, sebbene coabiti con la figlia ed il suo compagno, non può ritenersi “familiare” ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, comma 2 e art. 92.

I motivi esposti sono infondati sicchè il ricorso va rigettato.

Destituita di fondamento è la censura posta a base del primo motivo atteso che essa è in evidente contrasto con la stessa formulazione della norma ritenuta violata atteso che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 112, comma 1, lett. d), consente al giudice di revocare, anche d’ufficio, il decreto di ammissione al gratuito patrocinio nel caso in cui “risulta provata la mancanza originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92” dello stesso D.P.R. (per altro la massima giurisprudenziale di questa Corte a SS.UU. di cui alla sentenza n. 36168 del 19.09.2004, riportata in ricorso, è quanto mai chiara nell’affermare che il giudice può revocare l’ammissione al gratuito patrocinio solo per i casi previsti dal citato art. 112).

Nel caso di specie il decreto di ammissione è stato revocato proprio per la mancanza di una delle condizioni per accedere al beneficio in parola, vale a dire un reddito imponibile superiore al tetto previsto dall’art. 76 sulla base di quanto emerso dalle indagini effettuate presso i competenti uffici finanziari dovendosi cumulare al reddito dell’istante anche quello percepito dalla madre della compagna convivente dell’istante, anch’essa convivente.

Quanto al secondo motivo, ovviamente strettamente collegato al primo, la questione se è legittimo computare, ai fini della determinazione del reddito complessivo dell’istante ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2000, art. 76, anche quello di una persona con lui convivente che non sia legato allo stesso da vincoli di parentela, non può che avere una risposta affermativa sulla base della elaborazione giurisprudenziale di questa Corte in materia.

Per vero questa Corte si è pronunciata (V. per tutte Sez. 4, Sentenza n. 109 del 26/10/2005 Cc. Rv. 232787) più volte affermativamente con riferimento al reddito del convivente “more uxorio” dell’istante, ma il principio di diritto ricavabile da tali pronunce va esteso anche al caso sottoposto al caso di specie.

La norma di cui al D.P.R. n. 115 del 2000, art. 76 stabilisce che “…se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia…”, quest’ultimo termine è stato poi utilizzato dal legislatore nel successivo art. 92, ai fini dell’elevazione dei limiti del reddito per l’ammissione.

Dunque, il termine usato dalla legge è quello di “familiare” o di “componente della famiglia”.

Il problema che si pone, sollevato dal ricorrente, è quello di verificare se il legislatore, con l’adozione di tali accezioni, abbia voluto far riferimento ai soli familiari, componenti del nucleo familiare, uniti all’istante da vincoli di parentela o affinità o se, invece, anche a quei componenti che, convivendo e contribuendo ognuno di essi, sia dal punto di vista economico che collaborativo, alla vita in comune, costituiscono il nucleo familiare.

Nell’ambito di una interpretazione sistematica della legge sottoposta al nostro esame è da considerare che il legislatore ogniqualvolta ha voluto dare rilevanza, vuoi per aggravare o per favorire la posizione dell’imputato, ai rapporti derivanti da un legame per cosi dire naturale o di acquisizione, ha sempre utilizzato, oltre ai termini inequivocabili di ascendente, discendente, coniuge, fratelli e sorelle (V ad es. art. 649 cod. pen.), caratterizzanti un vicolo familiare derivanti da rapporti di consanguineità , anche le parole “congiunti”, “prossimi congiunti” anch’esse, comunque, riferibili ad un legame di natura giuridica, tant’è che, quando ha esteso i diritti a questi (prossimi congiunti) spettanti ad altre persone, pur conviventi, ma non legati all’imputato da vincoli di sangue o giuridici, ha previsto una specifica eccezione (V ad es. art. 199 c.p.p., comma 3, lett. a)), laddove si riconosce al e/o alla convivente “more uxorio” dell’imputato e/o imputata, la facoltà di non rendere interrogatorio nel procedimento a carico di quest’ultimo.

Di conseguenza l’uso del termine “familiare” nel D.P.R. n. 309 del 1990, art. 76 nella materia di cui trattasi ha una sua specifica pregnanza avendo il legislatore, al fine di riconoscere il beneficio di cui trattasi a colui che non può far fronte al costo economico della difesa in un procedimento penale, voluto tener conto della capacità  economico-finanziaria di tutti coloro che, per legami giuridici o di fatto, comunque, concorrono a formare il reddito familiare. Di talchè sarebbe non conforme ai principi costituzionali di solidarietà , equa distribuzione e di partecipazione di ogni cittadino alla spesa comune attraverso il prelievo fiscale, il fatto che dovrebbe gravare sui contribuenti il costo della difesa di un cittadino che può fruire dell’apporto economico dei vari componenti il “nucleo familiare”, ancorchè il suo reddito personale gli consenta di accedere al beneficio.

Dunque, appare orientata costituzionalmente l’interpretazione che va data al termine “familiare”, riferibile non solo a coloro che sono legati all’istante da vincoli di consanguineità o, comunque, giuridici, ma anche a coloro che convivono con lui e contribuiscono al “menage” familiare.

Dovendo confrontarsi con le mutate concezioni che via via si sono affermate nella società  moderna, la giurisprudenza, ha dato atto che il legislatore, in materia di rapporti interpersonali, ha considerato la famiglia “di fatto” quale realtà  sociale che, pur essendo al di fuori dello schema legale cui si riferisce, esprime comunque caratteri ed istanze analoghe a quelle della famiglia “stricto sensu” intesa.
In definitiva questa Corte ritiene condivisibile la motivazione sul punto dell’impugnata ordinanza.

Al rigetto del ricorso segue la condanna del ricorrente al pagamento delle spese processuali.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese processuali.
Così deciso in Roma, nella pubblica udienza, il 20 settembre 2012.
Depositato in Cancelleria il 13 novembre 2012

 

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