RICHIESTA DI CERTIFICAZIONE CONSOLARE E GRATUITO PATROCINIO: E’ INCOSTITUZIONALE?

GRATUITO PATROCINIO E REDDITO DEGLI STRANIERI: LA RICHIESTA DI CERTIFICAZIONE CONSOLARE PERMETTE DI AUTOCERTIFICARE? 

E SE NON LO PERMETTE, E’ INCOSTITUZIONALE? 

 

La questione della certificazione del reddito dell’extra comunitario

Torniamo a parlare di certificazione consolare del reddito: la questione è di interesse in riferimento all’obbligo per i non cittadini europei richiedenti l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato di dare atto, a mezzo della medesima certificazione, dei redditi provenienti dal paese di origine.

Ricordiamo infatti che la norma dell’art. 79 del DPR 115/2002 prevede che, per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea deve corredare l’istanza di ammissione al gratuito patrocinio con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.

L’occasione di riprendere l’argomento in successione al paper scritto un paio di mesi fa è data da quanto è sopraggiunto al punto di arrivo di quel lavoro, ovvero alle motivazioni (A) della sentenza del TAR (Veneto 615/2019): ivi c’era stata una presa di posizione sulla necessaria prova dell’impossibilità ad ottenere la certificazione consolare prima di poter assolvere l’obbligo a mezzo autocertificazione.

In primis, per approfondire il tema è stata utile la  (B) sentenza della cassazione civile (Cass. civ. n. 11471/2019) pressoché coeva al Tar citato. In successione a questi provvedimenti è poi sopravvenuta la recentissima (C) ordinanza del T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 10/06/2020, n. 380 che ribadisce i principi sanciti in Veneto e che pare fare, se fosse servita, ancora miglior chiarezza sulla problematicità della questione e chiama la Corte Costituzionale a mettere la parola fine ai limiti della norma del TUSG.

  • Il recente TAR Veneto

Orbene, il TAR Veneto aveva specificato che l’ordine delle fonti anteponeva il disposto del Testo Unico Spese di Giustizia (l’art. 79 precitato del DPR 115/2002) alle norme regolamentari che erano invocate per sostenere la possibilità di autocertificare il reddito dello straniero utile a consentire l’ammissione. Per l’effetto il disposto in regolamento non può far venir meno un obbligo previsto dalla legge (qui il testo unico).

  • La Cassazione 11471/2019

Nella di poco precedente vicenda, il ricorso alla Corte di Cassazione contestava la violazione e la falsa applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2, art. 94, comma 2 e art. 126, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 16, D.Lgs. n. 150 del 2011, art. 15, artt. 24, 111 e 117 Cost., in relazione agli artt. 6 e 13 CEDU,

In particolare si lamentava che – con il provvedimento impugnato – si fosse onerato il ricorrente, straniero non appartenente all’Unione Europea, della prova piena della circostanza negativa relativa all’impossibilità di ottenere la certificazione consolare attestante la mancata percezione di redditi prodotti nel Paese di provenienza, stante l’oggettiva impossibilità e/o difficoltà di rivolgersi alle competenti Autorità, ivi comprese le Rappresentanze diplomatiche presenti in Italia.

La motivazione del ricorso è stata ritenuta fondata ed assorbente ogni altra questione.

La disciplina generale del testo unico D.P.R. n. 115 del 2002 (art. 79, comma 2 e art. 94, comma 2) viene letta in combinato con il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 16, che prevede (richiamando infatti l’art. 94, comma 2 – e non il 92 erroneamente citato)  il ricorso all’autocertificazione ove sia impossibile produrre la documentazione richiesta dal citato art. 79, comma 2.

Con riferimento al successivo regolamento di cui al D.P.R. 12 gennaio 2015, n. 21, art. 8, il richiamo invoca la conferma della possibilità di autocertificare, ma nulla segnala in merito alla gerarchia delle fonti ed alla sua vigenza in contrasto con le norme primarie.

Per questa ragione, la Cassazione fa riferimento solo all’assicurare comunque e prontamente la difesa del non abbiente attraverso il meccanismo dell’autocertificazione affermando che il concetto di “impossibilità” a produrre la documentazione, di cui al richiamato art. 94, comma 2, non può essere assunto in termini assoluti nè può accollarsi al richiedente l’onere della relativa prova. In altre parole, si rileva che l’autocertificazione è possibile anche quando non si da piena prova dell’aver fatto tutto il possibile per ottenere la certificazioone consolare del reddito prodotto nel paese di origine dello straniero non comunitario.

B.1)  La motivazione della Cassazione cosa aggiunge?

Fino a quanto ora riportato non si va oltre il motivato nelle precedenti sentenze della Cassazione penale. Tuttavia, in un passaggio conclusivo della sentenza ora citata,  andando oltre la precedente affermazione che SOLO non richiedeva la prova assoluta dell’impossibilità, si ritiene persino che sia lo stesso percorso legislativo a prevedere che, assolto tout court l’onere di allegazione dell’autocertificazione prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 2, la persona è ammessa al beneficio, fatti salvi i successivi poteri di controllo e verifica (ex art. 96 e ss.).

Invero, in quest’ultima sentenza, oltre a lasciare non richiamata e non affrontata la questione della gerarchia delle fonti (vedi TAR), e non considerando il conflitto esistente dal richiamo dell’art. 94 TUSG da parte del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 16, si sottace la differenza fra:

  • il fornire piena prova dell’impossibilità a dare la certificazione;
  • dare una qualche giustificazione all’incipit del predetto art. 94, II comma, ove si prevede che “In caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta” si può autocertificare.

Quindi, se si volesse utilizzare ovunque l’ultima parte delle conclusioni in motivazione della sentenza, sostenendo che basta SEMPRE la mera autocertificazione a identificare positivamente il reddito dello straniero, si dovrebbe anche ritenere che a nulla serve la prima riga del comma II dell’art. 94 del TUSG, comunque richiamata anche dal D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 16 (rubricato “Attuazione della direttiva 2005/85/CE recante norme minime per le procedure applicate negli Stati membri ai fini del riconoscimento e della revoca dello status di rifugiato”).

In altre parole, affermare che non serve la piena prova dell’impossibilità a produrre la certificazione consolare per autocertificare non significa che vale sempre e soltanto l’autocertificazione; altrimenti non avrebbe senso la previsione di cui all’art. 94, II comma.

Vi deve essere perciò un distinguo fra quando si può presentare l’autocertificazione e quando non si può. Preso atto di questa necessità si può poi rilevare la necessità logica che la certifiticazione consolare debba  essere almeno stata richiesta: diversamente la stessa impossibilità ad ottenerla non potrebbe esistere nemmeno sul piano ontologico (non può essere ritenuto impossibile qualcosa che non ho nemmeno tentato).

Per superare la contraddizione, cercando peraltro la compatibilità pure con la gerarchia delle fonti citata in TAR Veneto 615/2019, pare preferibile fermarsi alla lettura delle norme data dalle sentenze della cassazione penale (Cass. pen. 08/11/2017, n. 53557; Cass. pen. 22/02/2018, n. 8617). In dettaglio appare più in linea con il percorso normativo il limitarsi a dire che “il concetto di impossibilità a produrre la documentazione in questione, di cui al richiamato art. 94, comma 2, non può essere assunto in termini assoluti, né può accollarsi al richiedente l’onere della relativa prova, come ha fatto il giudice del merito”.

Da ciò consegue che vi può essere sostituzione della certificazione consolare del reddito del richiedente l’ammissione non comunitario con l’autocertificazione almeno ogni qual volta che vi sia stata prova del tentativo di richiesta della medesima e nulla in più. Un tanto perchè la prova dell’impossibilità non può essere data ma l’impossibilità è comunque richiesta quale condizione per autocertificare.

Per l’effetto di quanto richiamato, almeno la richiesta di certificazione è adempimento dei requisiti minimi per la sussistenza della condizione.

In chiusura vi è anche da evidenziare che,  a fronte di un massiccio uso della mera ed incondizionata autocertificazione a favore degli stranieri non comunitari richiedenti l’ammissione al patrocinio dello Stato, resterebbe una inspiegabile disparità di trattamento con i cittadini italiani ai quali possono essere richieste integrazioni e precisazioni: lo straniero potrebbe autocertificare qualunque dato – peraltro non verificabile – mentre il cittadino italiano verrebbe sottoposto a verifica in ogni sua dichiarazione.

  • Il recentissimo TAR Piemonte

In conferma dei principi sopra espressi, è di recente sopravvenuta un’interessante ordinanza del T.A.R. Piemonte Torino, Sez. I, 10/06/2020, n. 380, che precisa la necessità di riferirsi esattamente alla lettera della norma, anche valutandone i rilevati profili di possibile illegittimità costituzionale.

In particolare, si statuisce che la mancata produzione della certificazione comporta la non ammissione al patrocinio a spese dello Stato a cagione dell’inerzia di un soggetto pubblico terzo, non sopperibile allo stato con gli istituti di semplificazione amministrativa e de-certificazione documentale previsti, invece, per i cittadini italiani e dell’Unione europea, seppure si ravveda un irragionevole vulnus del principio di eguaglianza formale nell’accesso alla tutela giurisdizionale.

Infatti, non appare praticabile de jure condito una soluzione ermeneutica costituzionalmente orientata che scongiuri l’incidente di costituzionalità. 

In dettaglio: non appare percorribile l’estensione in via analogica dell’art. 94, comma 2 D.P.R. 115/2002 per cui “in caso di impossibilità a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’articolo 79, comma 2, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea, la sostituisce, a pena di inammissibilità, con una dichiarazione sostitutiva di certificazione”.

Impediscono l’analogia legis di questa disposizione insuperabili argomenti di indole logico-interpretativa, sistematica e teleologica: innanzitutto, si rileva che, tentando l’estensione analogica, si vuole andare contro una norma espressa senza ambiguità ed in carenza di alcun vuoto da colmare. Pertanto, nel caso discusso mancano i presupposti per l’operatività del procedimento analogico, consistenti appunto nella lacuna in senso tecnico del tessuto normativo e la medesimezza di ratio della disposizione che si vuole applicare per colmare la lacuna.

L’assenza di lacuna si salda con l’argomento di indole sistematica che avvalora la diversità di ratio: si deve osservare, infatti, che l’art. 94, comma 2 cit. si colloca nel Capo III del Titolo II, recante “Disposizioni particolari sul patrocinio a spese dello Stato nel processo penale” di tal ché non può revocarsi in dubbio che l’espresso ambito applicativo della norma è circoscritto al processo penale e, sul versante teleologico, il legislatore ha chiaramente inteso differenziare i regimi di accesso – e il correlato dosaggio dell’accesso agli istituti di de-certificazione – in ragione della diversità di interessi in gioco tra processo penale e altri giudizi.

In conseguenza della non superabile necessità della certificazione consolare prevista dalla disposizione in parola, il TAR Piemonte ravvede al più dei profili di illegittimità rispetto agli artt. 3, 24, 113 e 117, comma 1, della Carta fondamentale, nella parte in cui subordina l’apprestamento di mezzi per l’accesso alla tutela giurisdizionale da parte dei non abbienti ad incombenti documentali che, pur se pertinenti alla prova delle condizioni reddituali, esulano dalla loro sfera di dominio, profili alla luce dei quali si impone la rimessione alla Corte costituzionale delle relative questioni, ai sensi dell’art. 23 della legge 11 marzo 1953, n. 87 (Norme sulla costituzione e sul funzionamento della Corte costituzionale).

Conclusivamente si ritiene che la sollevata questione di costituzionalità dell’art. 79, comma 2, del D.P.R. 115/2002 per violazione degli artt. 3, 24, 113 e 117 della Costituzione faccia automaticamente sospendere ogni negazione della problematicità della questione, in attesa della pronunzia della Corte costituzionale.

Da ultimo, è da sottolineare che le scelte dei Consigli dell’Ordine degli Avvocati in materia di ammissione restano comunque anticipate e provvisorie, perché poi soggette alla definitiva valutazione del magistrato in sede di decisione finale: autocertificazioni non fondate – o meglio allo stato contra legem –  porterebbero perciò a possibili revoche su grande scala in sede di liquidazione alla fine della fase processuale di riferimento; questo fino a che non vi sarà un intervento chiarificatore.

I riferimenti normativi sono:

  • DPR 115-2002 – Art. 79 (Contenuto dell’istanza)
  • DPR 115-2002 – Art. 94 (Impossibilità a presentare la documentazione necessaria ad accertare la veridicità)
  • DPR 12 gennaio 2015, n. 21 – Art. 8 (Disposizioni sul ricorso giurisdizionale)
  • D. DLgs 25 del 2008 – Art. 16 (Diritto all’assistenza e alla rappresentanza legali)

I riferimenti giurisprudenziali  sono:

  • CASS. PEN. Sent. 22 febbraio 2018, n. 8617
  • CASS. PEN. Sent. 08 novembre 2017, n. 53557
  • CASS. PEN., Sez. IV, 06 dicembre 2018, n. 12418
  • T.A.R. Veneto Venezia Sez. III, 20/05/2019, n. 615
  • CASS. CIV. Sent. 30 aprile 2019, n. 11471
  • T.A.R. Piemonte Torino Sez. I, 10/06/2020, n. 380
  • T.A.R. Campania Napoli Sez. VI, Sent., 06/11/2020, n. 5041
  • T.A.R. Basilicata Potenza Sez. I, Sent., 10/11/2020, n. 698
  • T.R.G.A. Trentino-A. Adige Trento Sez. Unica, Sent., 16/10/2020, n. 175

Di seguito riportiamo  nel paper i provvedimenti da ultimi citati, in testo integrale, e qui invece trovate il link al paper precedente che riassume la questione di merito – con unito il compendio normativo.

Alberto Vigani

per Associazione Art. 24 Cost.

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