GRATUITO PATROCINIO: CRITERI AMMISSIONE DA PARTE DEL COA

CASSAZIONE: L’AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO CIVILE PREVEDE UNA VALUTAZIONE IN CONCRETO DA PARTE DEL COA.

VEDIAMO QUALE?

AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO E COA: QUALE VALUTAZIONE IN CONCRETO?

AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO E COA: QUALE VALUTAZIONE IN CONCRETO?

Ai sensi dell’art. 122 del TUSG (sotto richiamato), l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato – in materia civile – può essere accordata in via provvisoria dal Consiglio dell’Ordine degli Avvocati solo a favore di chi vanti una pretesa “non manifestamente infondata” verificata in concreto.

La Corte di Cassazione torna sul punto con una recentissima sentenza (8295/2019) specificando che la verifica della pretesa non manifestamente infondata si svolge attaverso una   valutazione  compiuta dal Consiglio dell’Ordine competente non in astratto, ma in concreto, dovendo il Consiglio valutare a tal fine “le enunciazioni in fatto ed in diritto” di cui l’istante intende avvalersi, e le “prove specifiche” di cui intende chiedere l’ammissione, salvo comunque verifica dell’Autorità giudiziaria (si conferma così un’orientamento della Corte che si era pronunciata sul punto già nel 2017, cfr. Cass. nn. 26661 del 2017 nonchè 17037, 19733 e 26060 del 2018).

La domanda di ammissione al patrocinio a spese dello Stato quindi “contiene, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto e in diritto utili” per la valutazione stessa, perfino “con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione“. In difetto la detta domanda deve considerarsi inammissibile.

Invero, già la precedente giurisprudenza aveva già rilevato che il Consiglio dell’Ordine degli Avvocati, in carenza di “enunciazioni in fatto ed in diritto” a sostegno della domanda che l’istante intende far valere in giudizio, DEVE rilevare la totale mancanza del requisito della “non manifesta infondatezza delle ragioni” del medesimo richiedente.

Ove vi sia stata comunque ammissione senza verifica puntuale da parte del COA, la mancanza di tale requisito imporrà poi, in sede di verifica dell’ammissione provvisoria dal parte del giudice adito,  la revoca con effetto retroattivo della suddetta ammissione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136.

Riportiamo di seguito i testi integrali:

  1. della disciplina del Testo Unico Spese di Giustizia (artt. 13, 122 e 136);
  2. della sentenza Cass. Sent. Sez. L n. 8295/2019 del 25/03/2019;
  3. della sentenza Cass. civ. Sez. III,  n. 17037/2018 del 28/06/2018;
  4. della sentenza Cass. civ. Sez. lavoro, n. 19733/2018 del  25/07/2018;
  5. della ordinanza Cass. Civ. Sez. 2 n. 26060/2018.

Alberto Vigani

per Associazione Art. 24 Cost.




***

TUSG – DPR 30/05/2002, n. 115

ORDINAMENTO GIUDIZIARIO (GENERALITA’)

ART. 13 (L)  (Importi)

… (omissis) …

1-quater.  Quando l’impugnazione, anche incidentale, è respinta integralmente o è dichiarata inammissibile o improcedibile, la parte che l’ha proposta è tenuta a versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per la stessa impugnazione, principale o incidentale, a norma del comma 1-bis. Il giudice dà atto nel provvedimento della sussistenza dei presupposti di cui al periodo precedente e l’obbligo di pagamento sorge al momento del deposito dello stesso.

… (omissis) …

***

Capo III

Istanza di ammissione al patrocinio

ART. 122 (L)  (Contenuto integrativo dell’istanza)

1.  L’istanza contiene, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto ed in diritto utili a valutare la non manifesta infondatezza della pretesa che si intende far valere, con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione.

***

Capo VII

Revoca del provvedimento di ammissione al patrocinio

ART. 136 (L)  (Revoca del provvedimento di ammissione)

1.  Se nel corso del processo sopravvengono modifiche delle condizioni reddituali rilevanti ai fini dell’ammissione al patrocinio, il magistrato che procede revoca il provvedimento di ammissione.

2.  Con decreto il magistrato revoca l’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati, se risulta l’insussistenza dei presupposti per l’ammissione ovvero se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

3. La revoca ha effetto dal momento dell’accertamento delle modificazioni reddituali, indicato nel provvedimento del magistrato; in tutti gli altri casi ha efficacia retroattiva.

***

CASS. Sent. Sez. L Num. 8295/2019 del 25/03/2019

Fatti di causa

1. Paolo Rossi in data 6 febbraio 2018 ha proposto ricorso per revocazione ai sensi dell’ art. 391-bis c.p.c. avverso la sentenza di questa Corte n. 2980 del 3 febbraio 2017 che ha rigettato – per quanto qui rileva – il ricorso principale dal medesimo proposto avverso la sentenza n. 683/2014 della Corte di Appello di Venezia.

2. Il Rossi ha dedotto con 3 motivi la sussistenza di errori di fatto in cui sarebbe incorsa la sentenza impugnata.

3. Ha resistito la DS Srl (già DD Srl) con controricorso in cui ha eccepito preliminarmente la tardività del ricorso per revocazione.

Il ricorrente ha depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Ragioni della decisione

1. Il ricorso è inammissibile.

1.1. Il primo comma dell’art. 391-bis c.p.c., come modificato dall’art. 1-bis, comma 1, lett. I), n. 1, del d.l. n. 168 del 2016, introdotto in sede di conversione del citato decreto, ad opera della legge n. 197 del 2016, così recita: «Se la sentenza o l’ordinanza pronunciata dalla Corte di cassazione è affetta da errore materiale o di calcolo ai sensi dell’articolo-287, ovvero da errore di fatto ai sensi dell’articolo 395, numero 4), la parte interessata può chiederne la correzione o la revocazione con ricorso ai sensi degli articoli 365 e seguenti. La correzione può essere chiesta, e può essere rilevata d’ufficio dalla Corte, in qualsiasi tempo. La revocazione può essere chiesta entro il termine perentorio di sessanta giorni dalla notificazione ovvero di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento»; Il comma 2 del citato art. 1-bis, nel dettare la disciplina transitoria, ha stabilito che «Le disposizioni di cui al comma 1 si applicano ai ricorsi depositati successivamente alla data di entrata in vigore della legge di conversione del presente decreto, nonché a quelli già depositati alla medesima data per i quali non è stata fissata udienza o adunanza in camera di consiglio». L’art. 1, comma 2, della legge n. 197 del 2016, di conversione del d.l. n. 168 del 2016, ha previsto l’entrata in vigore della legge «il giorno successivo a quello della sua pubblicazione nella Gazzetta Ufficiale», n. 254 del 29/10/2016, con la conseguenza che la data di entrata in vigore è quella del 30/10/2016 (cfr., di recente, Cass. n. 13358 del 2018).

1.2. Nel caso di specie, il ricorso avverso la sentenza di questa Corte di cui si chiede la revocazione ai sensi dell’art. 395, primo comma, n. 4, c.p.c., è stato spedito per la notificazione il 6 febbraio 2018,. quindi in data successiva a quella di entrata in vigore della legge di modifica dell’art. 391-bis c.p.c. (30/10/2016); ne consegue che, applicandosi il termine previsto dalla nuova disposizione processuale per le ipotesi, Come quella in esame, in cui la sentenza della Cassazione non risulta essere stata notificata, il ricorso per revocazione doveva essere proposto entro il termine perentorio di sei mesi dalla pubblicazione del provvedimento revocando, mentre nella specie esso è stato azionato addirittura oltre l’anno dalla pubblicazione. Poiché la scadenza del termine per l’impugnazione realizza il passaggio in giudicato della sentenza impugnata non ha alcun rilievo la pretesa accettazione del contraddittorio della controricorrente invocata dal Pagani con la memoria ex art. 378 c.p.c..

2. Pertanto, va dichiarata l’inammissibilità del ricorso ed il soccombente deve essere condannato al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, liquidate come da dispositivo.

Occorre altresì dare atto della sussistenza dei presupposti di cui all’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002, come modificato dall’art. 1, co. 17, I. n. 228 del 2012, in quanto non risulta adeguatamente documentata l’avvenuta ammissione al patrocinio a spese dello stato, avendo parte ricorrente depositato copia che attesta solo il deposito dell’istanza di ammissione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Venezia.

Orbene l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in materia civile (che esonererebbe dal versamento dell’importo a titolo di contributo unificato: v. Cass. n. 18523 del 2014; Cass. n. 7368 del 2017) può essere accordata solo nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste dalla legge ed a favore di chi vanti una pretesa “non manifestamente infondata”, così come stabilito dall’art. 122 d.P.R. 30.5.2002 n. 115.

La valutazione della non manifesta infondatezza va compiuta dal Consiglio dell’Ordine competente non in astratto, ma in concreto, dovendo il Consiglio valutare a tal fine “le enunciazioni in fatto ed in diritto” di cui l’istante intende avvalersi, e le “prove specifiche” di cui intende chiedere l’ammissione, salvo comunque verifica dell’Autorità giudiziaria (cfr. Cass. n. 26661 del 2017), per cui in mancanza di tale ammissione non può dichiararsi l’esonero (Cass. n. 19733 del 2018), considerata altresì la manifesta tardività del ricorso per cassazione in relazione al quale è stata richiesta l’ammissione al gratuito patrocinio.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese liquidate in complessivi euro 3.000,00, oltre euro 200,00 per esborsi, rimborso spese forfettarie al 15% ed accessori secondo legge.

Ai sensi dell’art. 13, co. 1 quater, d.P.R. n. 115 del 2002 dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma del comma 1 bis dello stesso art. 13. Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 gennaio 2019

Così deciso in Roma nella camera di consiglio del 15 gennaio 2019 Corte di Cassazione

 

***

Cass. civ. Sez. III, Sent., (ud. 09-02-2018) 28-06-2018, n. 17037

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. OLIVIERI Stefano – Presidente –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – Consigliere –

Dott. ROSSI Raffaele – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 1001-2017 proposto da:

B.S., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA UGO DE CAROLIS 99, presso lo studio dell’avvocato, PIETRANGELO IARICCI, rappresentato e difeso dall’avvocato GIUSEPPE TOMASELLO giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del Presidente del consiglio dei Ministri pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende per legge;

– controricorrente –

avverso il decreto della CORTE D’APPELLO di MESSINA, depositata il 18/10/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 09/02/2018 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. PEPE ALESSANDRO che ha concluso per l’accoglimento del motivo 1;

Svolgimento del processo

1. Nel 2013 B.S. convenne dinanzi al Tribunale di Messina la presidenza del Consiglio dei Ministri, chiedendone la condanna al risarcimento dei danni patiti in conseguenza della. condotta tenuta dagli organi giudiziari che, secondo la prospettazione attorea, determinarono per colpa la sua soccombenza all’esito d’un processo civile che lo vide contrapposto a tale S.G., avente ad oggetto una domanda di risoluzione di un contratto di vendita immobiliare per inadempimento dell’acquirente.

Il giudizio venne introdotto con atto di citazione.

2. Con decreto 16 febbraio 2016 il Tribunale di Messina dichiarò inammissibile la domanda.

Il Tribunale rilevò che:

-) il procedimento civile che, secondo la prospettazione attorea, fu per lui causa di danno si concluse con una sentenza della Corte di cassazione pubblicata l’11 novembre 2011;

-) l’azione di responsabilità nei confronti dello Stato per il fatto del magistrato va introdotta con ricorso;

-) B.S. aveva invece introdotto la domanda con atto di citazione;

-) ciò non era di per sè causa di nullità, ma imponeva di individuare il momento di proposizione della domanda non in quello di notifica della citazione, ma nel momento in cui avvenne la costituzione in giudizio;

-) nel caso di specie la costituzione avvenne il 15 novembre 2013, e quindi quando era già decorso il termine biennale di decadenza previsto dalla L. 13 aprile 1988, n. 117, art. 4, comma 2.

3. Il decreto venne reclamato dalla parte soccombente. La Corte d’appello di Messina, con Decreto 18 ottobre 2016 n. 2180, rigettò il reclamo.

La Corte d’appello ritenne che:

-) il Tribunale correttamente ritenne che il giudizio doveva essere introdotto con ricorso, e che pertanto la data di proposizione della domanda andava individuata nel momento di deposito dell’atto di citazione nella cancelleria del giudice adito;

-) al presente giudizio non era applicabile il più lungo termine triennale di decadenza, introdotto dalla L. 27 febbraio 2015, n. 18, non avendo tale legge efficacia retroattiva.

4. Il decreto pronunciato dalla Corte d’appello di Messina è stato impugnato per cassazione da B.S., con ricorso fondato su due motivi.

Ha resistito la Presidenza del Consiglio.

Motivi della decisione

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della L. 13 aprile 1988, n. 117, art. 4, comma 2.

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello ha ritenuto che la domanda di risarcimento del danno nei confronti dello Stato per il fatto illecito del magistrato debba essere introdotta con ricorso.

Sostiene che la L. n. 117 del 1988 nulla dispone al riguardo, sicchè correttamente la domanda venne introdotta con l’atto di citazione, “quale mezzo ordinario normalmente utilizzato per l’esercizio di qualsivoglia diritto nel nostro ordinamento”.

1.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte infatti ha già stabilito che “la domanda di risarcimento ai sensi della L. 13 aprile 1988, n. 117, sulla responsabilità civile dei magistrati, va proposta con ricorso, e non con citazione, atteso che, dalle caratteristiche della fase iniziale del processo, regolata dall’art. 5 legge cit. e relativa al giudizio di ammissibilità della domanda, si desume che detta fase è improntata alla sommarietà e caratterizzata dalle forme del procedimento camerale, il che lascia trasparire all’evidenza che intenzione del legislatore era quella di prevedere, anche senza espressa indicazione, l’uso del ricorso, come è confermato, altresì, dal principio generale contenuto nell’art. 737 c.p.c., che espressamente stabilisce che i provvedimenti che debbono essere pronunziati in camera di consiglio (come quello che definisce il giudizio di ammissibilità ex art. 5 cit.) si chiedono con ricorso al giudice competente, che pronunzia con decreto” (Sez. 1, Sentenza n. 16935 del 29/11/2002, Rv. 558816 – 01; sostanzialmente nello stesso senso, in motivazione, si veda più di recente Sez. 3 -, Sentenza n. 932 del 17/01/2017, Rv. 642702 02).

1.3. Non convincono, in senso contrario, i rilievi svolti dal Procuratore Generale nella discussione in pubblica udienza, secondo cui il motivo sarebbe fondato alla luce del D.Lgs. 1 settembre 2011, n. 150, art. 4, comma 5, art. 4, comma 2, il quale stabilisce che “gli effetti sostanziali e processuali della domanda si producono secondo le norme del rito seguito prima del mutamento. Restano ferme le decadenze e le preclusioni maturate secondo le norme del rito seguito prima del mutamento”.

La suddetta previsione, infatti, si applica solo alle controversie “previste dal presente decreto” (così stabilisce il comma prima del D.Lgs. art. 4), tra le quali non rientra la domanda di risarcimento del danno proposta nei confronti dello stato per il fatto del magistrato.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Col secondo motivo il ricorrente lamenta, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione dell’articolo 11 delle disposizioni preliminari al codice civile.

Sostiene che erroneamente la Corte d’appello avrebbe ritenuto non retroattiva la modifica alla L. n. 117 del 1988 introdotta dalla L. 27 febbraio 2015, n 18, la quale ha elevato il termine di decadenza per la proponibilità della domanda di risarcimento del danno per il fatto del magistrato da due a tre anni.

2.2. Il motivo è infondato.

Questa Corte, infatti, ha già stabilito che “in tema di responsabilità civile dei magistrati, la sopravvenuta abrogazione della disposizione di cui alla L. n. 117 del 1988, art. 5 per effetto della L. n. 18 del 2015, art. 3, comma 2, non ha efficacia retroattiva, onde l’ammissibilità della domanda di risarcimento danni cagionati nell’esercizio delle funzioni giudiziarie deve essere delibata alla stregua delle disposizioni processuali vigenti al momento della sua proposizione. Ne consegue che il giudizio di ammissibilità previsto dall’art. 5 cit. continua ad applicarsi alle domande avanzate con ricorso depositato prima del 19 marzo 2015, data di entrata in vigore della L. n. 18 del 2015“. (Sez. 3, Sentenza n. 25216 del 15/12/2015, Rv. 638090 – 01).

3. Revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

3.1. L’odierno ricorrente risulta essere stato ammesso al beneficio del patrocinio a spese dello Stato con provvedimento del Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Messina dell’8.11.2016.

L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in materia civile, può essere accordata solo a favore di chi vanti una pretesa “non manifestamente infondata”, così come stabilito dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 122;

La valutazione della non manifesta infondatezza va compiuta dal Consiglio dell’Ordine competente non in astratto, ma in concreto, dovendo il Consiglio valutare a tal fine “le enunciazioni in fatto ed in diritto” di cui l’istante intende avvalersi, e le “prove specifiche” di cui intende chiedere l’ammissione.

3.2. Nel caso di specie B.S. ha proposto un ricorso per cassazione chiedendo che fosse dichiarata ammissibile la sua domanda di risarcimento proposta nei confronti dello stato per il fatto del magistrato.

A fondamento di questa domanda ha dedotto:

(-) di avere chiesto la risoluzione per inadempimento del contratto preliminare di vendita immobiliare da lui stipulato, nella veste di promittente venditore, con tale Sc.Gi.;

(-) che Sc.Gi., costituitosi in giudizio, formulò domanda riconvenzionale di sentenza costitutiva ex art. 2932 c.c., invocando l’inadempimento dell’attore;

(-) che il giudicante rigettò la domanda principale ed accolse quella riconvenzionale.

Dopo avere ricordato che ebbe torto sia in primo grado, sia in secondo grado, sia in sede di legittimità, il ricorrente soggiunge che tutte e tre le suddette decisioni (del Tribunale, della Corte d’appello e della Corte di cassazione) sarebbero state pronunciate con colpa grave, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2, perchè tutti i giudici si sarebbero dovuti accorgere che egli aveva ragione e il convenuto torto.

Giustifica tale allegazione assumendo che, dal momento che il convenuto non negò di essere inadempiente, ma invocò l’eccezione di inadempimento di cui all’art. 1460 c.c., l’inadempimento del convenuto si sarebbe dovuto ritenere esistente e conclamato.

Ora, di una pretesa risarcitoria ai sensi della L. n. 117 del 1988, fondata su allegazioni simili, il meno che si possa dire è che essa ascrive a responsabilità del magistrato una tipica attività di valutazione delle prove e ricostruzione dei fatti, che in quanto tale non può mai dar luogo a responsabilità, ai sensi della L. n. 117 del 1988, art. 2, comma 2.

A ciò aggiungasi che la prospettazione dei fatti contenuta nel ricorso è totalmente priva di qualsiasi apparato critico, risolvendosi in sostanza nella seguente tautologia: “tutti e tre gli organi giudicanti (Tribunale, Corte d’appello e Corte di cassazione) hanno agito con colpa grave perchè non si sono avveduti della fondatezza delle mie ragioni”.

3.3. Il Consiglio dell’Ordine, pertanto, avrebbe dovuto rilevare la totale mancanza del requisito della “non manifesta infondatezza delle ragioni” del richiedente.

La mancanza di tale requisito impone dunque in questa sede la revoca della suddetta ammissione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 136.

4. Le spese.

4.1. Le spese del presente grado di giudizio vanno a poste a carico del ricorrente, ai sensi dell’art. 385 c.p.c., comma 1, e sono liquidate nel dispositivo.

4.1. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

Al riguardo ritiene questa Corte doveroso chiarire come ai fini della dichiarazione di sussistenza dell’obbligo del pagamento del doppio contributo non venga in rilievo la L. n. 117 del 1988, art. 15, il quale stabilisce che nei giudizi aventi ad oggetto la responsabilità dello Stato per il fatto del magistrato “si osserva, in quanto applicabile, l’articolo unico, della L. 2 aprile 1958, n. 319“, norma, quest’ultima, che esonera i giudizi ivi previsti “dalla imposta di bollo e di registro e da ogni spesa, tassa o diritto di qualsiasi specie e natura”.

A tale esonero tuttavia sfugge il contributo unificato, per effetto della successiva evoluzione normativa.

Infatti la Legge Finanziaria 2009, art. 1, comma 212, (L. 23 dicembre 2009, n. 191), ha aggiunto un comma 6 bis all’art. 10 del testo unico sulle spese di giustizia (D.P.R. n. 115 del 2002), nel quale si stabiliva che “nelle controversie di cui all’articolo unico della L. 2 aprile 1958, n. 319 (…) e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato per i processi dinanzi alla Corte di cassazione”.

Due anni dopo, il D.L. 6 luglio 2011, n. 98, art. 37, comma 6, (Disposizioni urgenti per la stabilizzazione finanziaria) modificò ulteriormente l’art. 10, comma 6 bis, sopprimendo le parole “per i processi dinanzi alla Corte di cassazione”.

Per effetto delle due novelle del 2009 e del 2011, il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 10, comma 6 bis, attualmente recita: “nelle controversie di cui all’articolo unico della L. 2 aprile 1958, n. 319, (…) e in quelle in cui si applica lo stesso articolo, è in ogni caso dovuto il contributo unificato”.

Poichè, dunque, al presente giudizio si applica la L. n. 319 del 1958, resta dovuto il contributo unificato.

P.Q.M.

La Corte di cassazione:

(-) rigetta il ricorso;

(-) revoca l’ammissione del ricorrente al patrocinio a spese dello Stato;

(-) condanna B.S. alla rifusione in favore della Presidenza del Consiglio dei Ministri delle spese del presente giudizio di legittimità, che si liquidano nella somma di Euro 2.500, di cui 200 per spese vive, oltre I.V.A., cassa forense e spese forfettarie D.M. 10 marzo 2014, n. 55, ex art. 2, comma 2;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di B.S. di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Terza Sezione civile della Corte di cassazione, il 9 febbraio 2018.

Depositato in Cancelleria il 28 giugno 2018

 

***

Cass. civ. Sez. lavoro, Sent., (ud. 13-03-2018) 25-07-2018, n. 19733

***

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DI CERBO Vincenzo – Presidente –

Dott. LORITO Matilde – Consigliere –

Dott. GARRI Fabrizia – Consigliere –

Dott. PAGETTA Antonella – Consigliere –

Dott. MENDOLA Fabrizio – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 473-2017 proposto da:

L.P., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso la Cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentato e difeso dall’Avv. ROBERTO SIBILIA, PASQUALE PIZZUTI giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

XXXXXX S.R.L., in persona del legale rappresentante pro tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BORGOGNA 8, presso lo studio dell’avv. EDOARDO LOMBARDI, rappresentata e difesa dall’avv. GERARDO MAURIELLO giusta delega in atti;

– controricorrente – avverso la sentenza n. 623/2016 della CORTE D’APPELLO di SALERNO, depositata il 08/07/2016 R.G.N. 159/2016;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 13/03/2018 dal Consigliere Dott. AMENDOLA FABRIZIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. SANLORENZO Rita, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avv. TAGLIALATELA FABIO per delega Avv. MAURIELLO GERARDO.
Svolgimento del processo

1. La Corte di Appello di Salerno, con sentenza pubblicata in data 8 luglio 2016, ha confermato la pronuncia di primo grado che aveva respinto la domanda proposta da L.P. nei confronti della SOIGEA Srl volta a far dichiarare l’illegittimità del licenziamento intimato il 25 gennaio 2013 per giustificato motivo oggettivo rappresentato dalla sopravvenuta inidoneità alle mansioni accertata dal medico competente.

La Corte territoriale, condividendo l’assunto del primo giudice sulla base dell’istruttoria espletata, ha ritenuto giustificato il licenziamento del L. in quanto “non era oggettivamente possibile ricollocarlo in mansioni diverse da quelle di elettricista (che già da qualche tempo non poteva utilmente espletare, se non con severe prescrizioni) e/o di operaio comune”.

2. Per la cassazione di tale sentenza ha proposto ricorso L.P. con unico articolato motivo. Ha resistito la società con controricorso.
Motivi della decisione

1. Con il mezzo di gravame si denuncia “violazione dell’art. 116 c.p.c., artt. 2103 e 2697 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3” nonchè “omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti (art. 360 c.p.c. n. 5)”.

Si lamenta che la Corte di Appello avrebbe “totalmente obliterato l’obbligo gravante sull’azienda di provare in concreto l’impossibilità di ricollocare il lavoratore in mansioni diverse da quelle precedentemente espletate; basando il diverso convincimento su documenti unilaterali, privi, a tal fine, di qualsiasi valore probatorio”.

2. Il ricorso è inammissibile in quanto, anche laddove denuncia una pretesa violazione di legge, nella sostanza tende a contestare l’accertamento di fatto compiuto dai giudici di merito circa l’insussistenza di una possibile collocazione alternativa del L. in mansioni compatibili con il suo stato di salute.

Si tratta di quaestio facti non sindacabile in questa sede di legittimità, travalicando i confini imposti dal novellato art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come rigorosamente interpretato da Cass. SS.UU. nn. 8053 ed 8054, tanto più in una ipotesi, come quella ravvisabile nella specie, di cd. “doppia conforme”.

Invero detto vizio, attenendo alla ricostruzione dei fatti ed alla loro valutazione, per le sentenze pubblicate, come nella specie, dal trentesimo giorno successivo alla entrata in vigore della L. del 7 agosto 2012, n. 134, (pubblicata sulla G.U. n. 187 dell’11.8.2012), di conversione del D.L. del 22 giugno 2012, n. 83, è censurabile in sede di legittimità solo nella ipotesi di “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione fra le parti”.

Ma esso non può essere denunciato per i giudizi di appello instaurati successivamente alla data sopra indicata (richiamato D.L. n. 83 del 2012, art. 54, comma 2) – come nella specie appello depositato in data 25 marzo 2016 – con ricorso per cassazione avverso la sentenza d’appello che conferma la decisione di primo grado, qualora il fatto sia stato ricostruito nei medesimi termini dai giudici di primo e di secondo grado (art. 348 ter c.p.c., u.c.). Ossia il vizio di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, non è deducibile in caso di impugnativa di pronuncia c.d. “doppia conforme” (v. Cass. n. 23021 del 2014).

3. Conclusivamente il ricorso va dichiarato inammissibile e le spese seguono la soccombenza liquidate come da dispositivo.

Occorre dare atto della sussistenza dei presupposti di cui D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, come modificato L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, in quanto non risulta documentata l’avvenuta ammissione al patrocinio a spese dello stato, avendo parte ricorrente depositato solo copia di documentazione che attesterebbe l’inoltro dell’istanza di ammissione al Consiglio dell’Ordine degli Avvocati di Salerno.

Orbene l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato in materia civile (che esonererebbe dal versamento dell’importo a titolo di contributo unificato: v. Cass. n. 18523 del 2014; Cass. n. 7368 del 2017) può essere accordata solo nella ricorrenza delle condizioni di reddito previste dalla legge ed a favore di chi vanti una pretesa “non manifestamente infondata”, così come stabilito dall’art. 122 D.P.R. del 30 maggio 2002, n. 115.

La valutazione della non manifesta infondatezza va compiuta dal Consiglio dell’Ordine competente non in astratto, ma in concreto, dovendo il Consiglio valutare a tal fine “le enunciazioni in fatto ed in diritto” di cui l’istante intende avvalersi, e le “prove specifiche” di cui intende chiedere l’ammissione, salvo comunque verifica dell’Autorità giudiziaria (cfr. Cass. n. 26661 del 2017), per cui in mancanza di tale ammissione non può dichiararsi l’esonero.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità liquidate in Euro 4.500,00, oltre Euro 200,00 per esborsi, spese generali nella misura del 15% ed accessori di legge.

Ai sensi D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 13 marzo 2018.

Depositato in Cancelleria il 25 luglio 2018

***

Cassazione Civile Ord. Sez. 2 Num. 26060 Anno 2018

Rilevato che:

1. Con sentenza depositata il 02/12/2014 il tribunale di Pescara ha rigettato l’appello avverso la sentenza del locale giudice di pace che, esaminata l’opposizione di Paolo Rossi avverso l’ordinanza-ingiunzione di pagamento n. 0047839 20101111 della sanzione amministrativa pecuniaria prevista per l’illecito di emissione di assegno privo della necessaria provvista ex art. 2 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (come modificato dal d.lgs. 30 dicembre 1999, n. 507), aveva rigettato la stessa e confermato il provvedimento della prefettura – ufficio territoriale di governo di Pescara.
2. Per la cassazione di tale sentenza ha, proposto ricorso Paolo Rossi, su due motivi. Non ha espletato difese l’ufficio territoriale del governo.

• Considerato che:

1. Con il primo motivo si deduce che “in violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. nella sentenza non [vi sarebbe] alcuna corrispondenza tra il chiesto e il pronunciato”, in quanto oggetto dell’opposizione sarebbe stata la legittimità della dichiarazione liberatoria sottoscritta dal penultimo e non dall’ultimo giratario dell’assegno insoluto; a fronte dell’appello con cui l’interessata si era doluta dell’omessa decisione sul punto, irritualmente il tribunale – córne anche il giudice di pace – avrebbe deciso considerando il mancato pagamento dell’assegno nel termine di legge.

2. Con il secondo motivo si deduce che il tribunale avrebbe “omesso di rispondere sulla questione oggetto della domanda … anche al di là della sentenza di primo grado”. Mentre nella sentenza di primo grado si affermava l’incompletezza della prova del pagamento per essere la dichiarazione liberatoria emessa in data posteriore al termine di sessanta giorni di cui all’art. 2 cit., il tribunale aveva individuato -la causale nel mancato pagamento nel termine di sessanta giorni.

3. I motivi, strettamente connessi, possono essere esaminati congiuntamente e dichiarati infondati.

3.1. In argomento, va premesso che effettivamente – come chiarito dalla giurisprudenza di questa corte (v. ad es. Cass. n. 91.78 del 16/04/2010) – il giudizio di opposizione avverso ordinanza-ingiunzione di pagamento di somma di denaro a titolo !di sanzione amministrativa, disciplinato dagli artt. 22 e 23 della legge n. 689 del 1981, è strutturato, nelle sue linee generali, in conformità al modello del giudizio civile ordinario e risponde agli inerenti principi, in particolare della domanda, della corrispondenza tra chiesto e pronunciato e del divieto della pronunzia d’ufficio su eccezioni rimesse esclusivamente all’iniziativa di parte, nonché • ai limiti della modificazione della causa petendi, che, in tale giudizio, resta individuata sulla base dei motivi di opposizione.

3.2. Nel caso di specie, avendo la parte ricorrente sostenuto innanzi al giudice di pace essere erronea la determinazione reiettiva della prefettura• per avere l’interessata “fornito prove incomplete di avvenuto pagamento dell’assegno”, consegue che il giudice del merito – ferma l’assenza in capo allo stesso del potere di rilevare ragioni di invalidità del provvedimento opposto non dedotte nell’atto. di opposizione, nemmeno sotto il profilo ‘della disapplicazione del provvedimento stesso – ben poteva, senza incorrere in alcuna violazione dell’art. 112 cod. proc. civ. senza dover necessariamente esaminare la questione dedotta dalla parte (in merito al provenire legittimamente, in tesi, la dichiarazione liberatoria da giratario diverso dall’ultimo), far derivare l’inidoneità, per irrilevanza, della – ragione di opposizione dalla circostanz che, comunque, l’opponente non aveva dimostrato la tempestività dell’assèfito pagamento .(e tale rilievo – al di là di mere differenziazioni formali – è stato svolto in maniera coerente, diversamente da quanto assunto dalla parte ricorrente, sia dal giudice di primo grado che da quello di appello).

4. Il ricorso va dunque rigettato senza doversi provvedere sulle spese per mancata costituzione dell’amministrazione.

5. Questa corte rileva d’ufficio come Paolo Rossi risulti essere stata ammesso al patrocinio a spese dello Stato. L’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in materia civile, può essere accordata solo a favore di chi vanti una pretesa “non manifestamente infondata”, così come stabilito ‘dall’art. 122 d.p.r. 30/5/2002 n. 115.

La valutazione della non manifesta infondatezza va compiuta dal consiglio dell’ordine competente non in astratto, ma in concreto (così Cass. n. 26661 del 10/11/2017), dovendo il consiglio sottoporre a disamina “l’istanza” che all’uopo “contiene, a pena di inammissibilità, le enunciazioni in fatto e in diritto utili” per la valutazione stessa, perfino “con la specifica indicazione delle prove di cui si intende chiedere l’ammissione” (art. 122 cit.).

5.1. Nel caso di specie Paolo Rossi ha proposto azioni giudiziarie in presenza di un requisito minimale (pagamento nel termine dell’assegno), appuntendo le sue critiche su un mero dato formale dell’ordinanza-ingiunzione, insuscettibile da solo di condurre a un esito positivo della lite in carenza degli altri presupposti, e continuando a svolgere sul medesimo piano formale – peraltro gravemente destituito di fondamento, come agevolmente controllabile – le proprie argomentazioni nelle sedi di impugnazione.

5.2. Dunque da un lato mancava la sussistenza dei presupposti’ per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; dall’altro sussiste la colpa grave dell’interessata. Ricorrono pertanto ambedue i presupposti richiesti dall’art. 136, comma 2, d.p.r. n. 115 del. 2002, per la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato per manifesta infondatezza della pretesa’ e per, colpa grave nel promovimento del giudizio, con effetto retroattivo e con quanto ne consegue in tema di obbligo di pagamento del doppio con.tributo unificato (che non va corrisposto in caso di mero rigetto della domanda della parte ammessa al patrocinio – cfr. ad es. Cass. n. 7368 del 22/03/2017 – ma va corrisposto in caso di revoca).

6. Ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 va dato atto del sussistere dei presupposti per il versamento a cura della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato dovuto per il ricorso a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.

P.Q.M.

La corte rigetta il ricorso; revoca l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato; ai sensi dell’art. 13 co. 1-quater d.p.r. n. 115 del 2002 dà atto del sussistere dei presupposti per il versamento da parte della ricorrente dell’ulteriore importo pari al contributo unificato, dovuto per il ricorso a norma del co. 1-bis dell’art. 13 cit.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della seconda sezione civile, in data 27/02/2018
DEPOSITATO IN CANCELLERIA Roma, 17 OTT, 2018

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Verified by ExactMetrics