CASSAZIONE: SI DEVONO TOGLIERE GLI ONERI DEDUCIBILI DAL REDDITO DEL GRATUITO PATROCINIO

OUA E CONGRESSO AVEVANO RAGIONE: VANNO TOLTI GLI ONERI DEDUCIBILI DAL REDDITO DEL GRATUITO PATROCINIO E COSI’ AUMENTA IL NUMERO DEGLI AVENTI DIRITTO

Corte di cassazione, sentenza 17 agosto 2016, n. 34935.

Oneri deducibili via da reddito del gratuito patrocinio

Oneri deducibili via da reddito del gratuito patrocinio

La Suprema Corte affronta la tematica dell’esatta determinazione del limite del reddito per accedere al patrocinio a spese dello Stato precisando finalmente che esso deve computarsi al netto degli oneri deducibili ma non degli oneri detraibili.

Si viene così incontro per via giurisprudenziale a quanto chiesto dall’avvocatura nel corso dello scorso congresso forense a Venezia ed OUA in merito alla necessità di precisazione delle modalità di omogenea determinazione del reddito da impiegare nella determinazione della soglia di accesso alla difesa dei non abbienti.

La sentenza 17 agosto 2016, n. 34935 della Corte di Cassazione, pur confermata la presenza di di pronunce anche contrastanti in riferimento all’imputazione degli oneri deducibili ai fini della identificazione del reddito per l’ammissione al gratuito patrocinio, ha statuito che gli oneri deducibili debbano essere considerati, mentre vanno escluse le detrazioni di imposta.

Secondo la sentenza, il reddito di cui tener conto per l’ammissione ai benefici previsti dal dPR 115/2002 è, infatti, secondo la testuale espressione degli artt. 9 e 76, il “reddito imponibile” risultante dall’ultima dichiarazione. E il reddito imponibile – concetto precipuamente fiscale – è il reddito complessivo depurato degli oneri deducibili di cui agli artt. 3 e 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, dato con dPR n. 917 del 22 dicembre 1986 (art. 3). In questo senso si è già espressa la sezione terza di questa Corte (sentenza n. 16583 del 23/3/2011), per la quale la norma è “chiarissima nel far riferimento al reddito imponibile risultante dall’ultima dichiarazione. E, secondo le norme in materia tributaria, per reddito imponibile deve intendersi il reddito ai netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10”.

Sul punto la Cassazione ha richiamato la risoluzione 15/E del 2008 dell’agenzia delle Entrate ove si era già ribadito che in base alle norme tributarie il reddito da computarsi ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato è il reddito complessivo al netto degli oneri deducibili.

In dettaglio il Collegio precisa che gli oneri deducibili individuano la parte di reddito di cui, per ragioni di politica legislativa, non si deve tener conto per determinare il livello di contribuzione del singolo alle spese della collettività: per questa ragione anche nel momento di attivazione dei meccanismi giudiziari, che comportano un costo per la collettività cui devesi far fronte con i prelievi riferibili ai redditi realmente espressivi della capacità contributiva del soggetto interessato; quindi, a tutti i redditi compresi nelle varie categorie contemplate dal TUIR (certamente anche i redditi esenti, quelli sottoposti a tassazione alla fonte e quelli soggetti ad imposta sostitutiva), ma depurati degli oneri deducibili.

Questo passaggio giurisprudenziale toglie, si spera definitivamente, un punto di scontro nell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato che troppe volte aveva visto l’avvocatura ed i cittadini restare vittima di pronunce di rigetto nonostante si fosse già sollevata la questione anche in sede politica. Ovviamente, per evitare l’ennesimo passo del gambero delle sentenze del merito, si spera possa seguire a breve una nota del ministero (come già accaduto recentemente per precisare la retroattività dell’ammissione al deposito della domanda) che cristallizzi tale pronuncia: ricordiamo che, come sopra accennato, vi è già stata una richiesta in questo senso sia del Congresso Nazionale Forense che dell’Organismo Unitario dell’Avvocatura, che vedono comunque qui coronato dal successo quanto sostenuto negli ultimi 2 anni.

Riportiamo di seguito il testo integrale della sentenza n. 34935/2016

 

Alberto Vigani

Ass. Art. 24 Cost.



 

Penale Sent. Sez. 5 Num. 34935 Anno 2016

Presidente: FUMO MAURIZIO

Relatore: SETTEMBRE ANTONIO

Data Udienza: 10/06/2016

 

SENTENZA

 

sul ricorso proposto da:

PROCURATORE DELLA REPUBBLICA PRESSO IL TRIBUNALE TRIBUNALE DI CAMPOBASSO nei confronti di:

INGLESE MAURO nato il 19/09/1973 a LUCERA

avverso la sentenza del 26/06/2015 del TRIBUNALE di CAMPOBASSO

visti gli atti, il provvedimento impugnato e il ricorso udito in PUBBLICA UDIENZA del 10/06/2016, la relazione svolta dalConsigliere ANTONIO SETTEMBRE Udito il Procuratore Generale in persona del MARIO MARIA STEFANO PINELLI che ha concluso per

Udit i difensor Avv.;

– Udito il Procuratore Generale della Repubblica presso la Corte di Cassazione, dr. Mario Pinelli, che ha concluso per l’annullamento con rinvio della sentenza impugnata.

RITENUTO IN FATTO

  1. Il Tribunale di Campobasso ha, con la sentenza impugnata, assolto Inglese Mauro dal reato di cui all’art. 483 cod. pen., in relazione all’art. 76 DPR 445/2000, “perché il fatto non costituisce reato”. Inglese era accusato di avere, nella presentazione della domanda di esenzione dal contributo unificato dovuto per l’iscrizione a ruolo dei propri ricorsi presso il Tribunale di Campobasso – attestato falsamente di aver conseguito, nel 2011, un reddito inferiore ad € 31.503, laddove il reddito effettivamente conseguito ammontava ad € 32.147. Il Tribunale ha escluso la sussistenza del fatto, o, quantomeno, del dolo, ritenendo che – come sostenuto dall’imputato – il reddito complessivo andasse depurato degli oneri deducibili, che portavano il reddito imponibile sotto la soglia di legge.
  2. Ha presentato ricorso per Cassazione il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale dì Campobasso per violazione di legge. Deduce che, in base alla giurisprudenza di questa Corte, il reddito di cui occorre tener conto, per giudicare della spettanza del beneficio, è quello complessivo, non depurato degli oneri deducibili.
  3. Con memoria depositata nella cancelleria di questa Corte il 20 maggio 2016 l’imputato ha chiesto il rigetto del ricorso del Pubblico Ministero.

CONSIDERATO IN DIRITTO

Il ricorso è infondato. 1. L’art. 9 del dPR n. 115 del 30 maggio 2002 pone l’obbligo di versamento del contributo unificato a carico dei soggetti che siano titolari di un “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, superiore a tre volte l’importo previsto dall’articolo 76”. A sua volta, l’art. 76 dPR 115/2002 fissava, alla data del 28/9/2012 (data in cui Inglese rendeva la sua dichiarazione), in € 10.733, 33 il limite di reddito da non superare per beneficiare delle agevolazioni previste dalla normativa sul patrocinio a spese dello Stato. Il limite reddituale di € 10.733,33 era stato fissato dal Decreto del Ministro della Giustizia del 2 luglio 2012, che aveva elevato il precedente limite di € 10.628,16. Sulla base di tanto il ricorso del Pubblico Ministero risulta infondato per un errore di calcolo e per un errore di legge.

  1. Inglese aveva dichiarato di aver conseguito, nell’anno 2011 (anno dell’ultima dichiarazione), un reddito inferiore al triplo del reddito di legge, ammontante, all’epoca della dichiarazione, ad € 32.200 (10.733,33 x 3). Pertanto, se, come si legge in sentenza, Inglese aveva effettivamente conseguito, nell’anno 2011, il reddito complessivo di € 32.147,00, era comunque sotto soglia per 53 euro. Il calcolo del Pubblico Ministero non tiene conto, invero, dell’aumento del limite reddituale disposto con Decreto del Ministro della Giustizia del 2 luglio 2012.
  2. Il ricorso del Pubblico Ministero è comunque infondato per erronea interpretazione della legge. Il reddito di cui tener conto per l’ammissione ai benefici previsti dal dPR 115/2002 è, infatti, secondo la testuale espressione degli artt. 9 e 76, il “reddito imponibile” risultante dall’ultima dichiarazione. E il reddito imponibile – concetto precipuamente fiscale – è il reddito complessivo depurato degli oneri deducibili di cui agli artt. 3 e 10 del Testo Unico delle Imposte sui Redditi, dato con dPR n. 917 del 22 dicembre 1986 (art. 3). In questo senso si è già espressa la sezione terza di questa Corte (sentenza n. 16583 del 23/3/2011), per la quale la norma è “chiarissima nel far riferimento al reddito imponibile risultante dall’ultima dichiarazione. E, secondo le norme in materia tributaria, per reddito imponibile deve intendersi il reddito ai netto degli oneri deducibili indicati nell’art. 10”. Si tratta di giurisprudenza assolutamente condivisibile, poiché àncora il limite reddituale in questione ad un dato certo, fiscalmente determinato in maniera chiara e compiuta. Limite condiviso, peraltro, dall’Autorità Amministrativa – cui è demandato dalla legge il compito di verificare l’esattezza dell’ammontare del reddito attestato dal cittadino interessato all’ammissione al gratuito patrocinio – per la quale il reddito da computarsi ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, ex art. 76 dPR 115/2002, è il reddito imponibile ai fini IRPEF e, dunque, in base alle norme in materia tributaria, il reddito complessivo (determinato sommando i redditi di ogni categoria) al netto degli oneri deducibili (ris. 15/E Agenzia delle Entrate del 21 gennaio 2008).

3.1. E’ vero, come sottolineato dal Pubblico Ministero ricorrente, che altra giurisprudenza di legittimità è andata, in un caso, di contrario avviso, sostenendo di non condividere il principio affermato, ut supra, dalla sezione terza, ed escludendo che il reddito rilevante ai fini dell’art. 76 cit. sia quello depurato degli oneri deducibili (Cass., sez. 4, n. 19751 del 21/1/2015. Tanto in motivazione, anche se il principio è stato massimato con riferimento alle “deduzioni” e alle “detrazioni”). E conformi a quest’orientamento sono sembrate anche altre pronunce di questa Corte (in particolare, Cass., sez. 6, n. 728 del 21/1/1997, Rv 208110; sez. 4, n. 22229 del 15/4/2008, Rv 239893; sez. 4, n. 28802 del 16/2/2011, Rv 250700).

In realtà, la pronuncia della sezione sesta, n. 728 del 21/1/1997, afferma un principio perfettamente in linea con quello ribadito dalla sezione terza, nella sentenza sopra richiamata (e col caso all’esame dì questo Collegio), avendo affermato che, “ai fini dell’ammissione al gratuito patrocinio, il giudice non deve attenersi esclusivamente e formalmente alle risultanze rilevabili dalla dichiarazione dei redditi, ma deve procedere al calcolo del reddito risultante all’esito delle detrazioni degli obblighi deducibili ai sensi dell’art. 10 dei DPR 22 dicembre 1986 n. 917 (t.u. delle imposte sui redditi) e solo all’esito di tale operazione comparare il reddito al tetto previsto dall’art. 3 della l. 30 luglio 1990 n. 217”. A parte un equivoco espressivo, contenuto in sentenza e ripetuto in massima, la Corte ha, con la decisione suddetta, precisato che il giudice avrebbe dovuto tener conto, sottraendoli dal reddito, degli assegni periodici corrisposti al coniuge in conseguenza della separazione; e quindi ha affermato che dal reddito complessivo vanno detratti – per verificare la spettanza del (diritto al) gratuito patrocinio – gli “oneri deducibili” (e non gli “obblighi deducibili”) di cui all’art. 10 del dPR 917/86. Le altre due sentenze, entrambe della sezione quarta, sembrano effettivamente allineate, invece, alla tesi più restrittiva, poiché affermano che “nella determinazione del reddito, da valutarsi ai fini dell’individuazione delle condizioni necessario per l’ammissione al gratuito patrocinio, non si può tener conto di detrazioni o deduzioni stabilite dal legislatore”.

  1. Orbene, premesso che anche questo Collegio conviene sul fatto che non si debba tener conto – nella determinazione del reddito rilevante ai fini dell’art. 76 cit. – delle “detrazioni” stabilite dal legislatore (le quali , previste dagli artt. 12, 13, 15, 16, 16/bis del TUIR, abbattono l’imposta dovuta, ma non concorrono alla determinazione del reddito imponibile, né alla determinazione dell’imposta lorda), resta da verificare se anche le “deduzioni” – cui fa riferimento la giurisprudenza sopra richiamata, e ammesso che si tratti degli “oneri deducibili” – siano da computare nella determinazione del reddito rilevante per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato. Questo Collegio ritiene di aderire senz’altro al primo orientamento di questa Corte, fatto proprio dalle sezioni terza e sesta, per le ragioni di seguito esposte.
  2. La ratio che presiede alla tesi più restrittiva fa leva sul fatto che il D.P.R. n. 115 del 2002, art. 76, nell’indicare le condizioni di ammissione al gratuito patrocinio, non fa solo riferimento al “reddito imponibile ai fini dell’imposta personale risultante dall’ultima dichiarazione“, bensì anche ai “redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta, ovvero ad imposta sostitutiva” (comma 3 dell’art. 76 cit.). Peraltro, viene aggiunto, anche la Corte costituzionale, con la sentenza n. 382 del 1985, nell’affrontare la problematica dei limiti di reddito per il patrocinio gratuito, ha precisato che “nella nozione di reddito, ai fini dell’ammissione del beneficio in questione, devono ritenersi comprese le risorse di qualsiasi natura, di cui il richiedente disponga; anche gli aiuti economici (se significativi e non saltuari) a lui prestati, in qualsiasi forma, da familiari non conviventi o da terzi, – pur non rilevando agli effetti del cumulo -potranno essere computati come redditi direttamente imputabili all’interessato, ove in concreto accertati con gli ordinari mezzi di prova, tra cui le presunzioni semplici previste dall’art. 2739 cod. civ., quali il tenore di vita ecc.”, La ragione dell’accertamento degli effettivi redditi percepiti dall’istante risponde all’esigenza, è stato sottolineato, di autorizzare il trasferimento allo Stato di una spesa (di difesa tecnica) che la parte da sola non riesce a sostenere, così facendo appello alla solidarietà della collettività.
  3. Premesso che i princìpi sopra esposti sono integralmente condivisi da questo Collegio, per intendere rettamente la portata dell’art. 76 dPR 115/2002 occorre allora precisare il significato del terzo comma della norma suddetta (costantemente richiamato dalla giurisprudenza passata in rassegna), che impone di tenere conto, per la determinazione del reddito imponibile, “anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva”. Ebbene, i redditi esenti sono disciplinati in modo analitico da più norme, anche contenute in leggi speciali, Sono introiti, il cui elenco è piuttosto lungo, di natura risarcitoria od assistenziale con particolari finalità sociali, ovvero di retribuzioni e compensi, pensioni, sussidi ed elargizioni, borse di studio ed altri redditi che, per legge, beneficiano di un particolare trattamento (la esenzione dall’imposizione) in considerazione dei motivi della attribuzione o delle condizioni personali del beneficiario. I redditi soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta sono quelli colpiti alla fonte, in modo definitivo, dall’imposta (es., i redditi di capitale), e che, proprio per questo, non vanno inclusi nella dichiarazione dei redditi, in quanto già tassati ab origine. I redditi soggetti ad imposta sostitutiva sono quelli sottoposti ad un tributo pagato al posto di una o più imposte diverse (es., la cd, cedolare secca sugli affitti degli immobili ad uso locativo, che sostituisce l’IRPEF, l’addizionale comunale e provinciale, l’imposta di bollo e quella di registro). Tutti gli introiti previsti dall’art. 76, comma 3, cit. hanno, quindi, la caratteristica di costituire emolumenti – per legge esenti da tassazione, oppure sottoposti a tassazione diversa da quella ordinaria – che misurano l’arricchimento del soggetto e determinano la sua capacità di far fronte agli oneri della vita senza

trattamenti di favore da parte dello Stato. Essi sono concettualmente – e radicalmente – distinti dagli oneri deducibili, costituiti, per quanto si è detto, da “spese” (e non da “redditi”) che il soggetto sostiene nell’anno d’imposta e che, al contrario dei redditi, non sono indicativi “delle condizioni personali, familiari e del tenore di vita dell’istante”, bensì di situazioni espressive di costrittività, necessarietà o liberalità (apprezzata dal legislatore), determinanti esborsi incidenti sulle disponibilità effettive del contribuente al momento di presentazione della dichiarazione dei redditi e che sono – per scelta legislativa -esclusi dal cumulo dei redditi tassabili.

  1. Quanto sopra esposto esclude, a giudizio di questo Collegio, che gli oneri deducibili possano concorrere alla determinazione del reddito rilevante ai sensi dell’art. 76 dPR 115/2002. Poiché gli oneri deducibili individuano la parte di reddito di cui, per ragioni di politica legislativa, non si deve tener conto per determinare il livello di contribuzione del singolo alle spese della collettività, tanto vale anche nel momento di attivazione dei meccanismi giudiziari, che comportano un costo per la collettività cui devesi far fronte con i prelievi riferibili ai redditi realmente espressivi della capacità contributiva del soggetto interessato; quindi, a tutti i redditi compresi nelle varie categorie contemplate dal TUIR (certamente anche i redditi esenti, quelli sottoposti a tassazione alla fonte e quelli soggetti ad imposta sostitutiva), ma depurati degli oneri deducibili. La contraria opinione comporta la sterilizzazione, sotto il profilo che interessa, non di redditi (il che sarebbe contrario alla ratio dell’art. 76 cit.), ma di oneri sostenuti dal contribuente e di cui il legislatore ha inteso tener conto per determinare la capacità di contribuzione. Tanto è particolarmente avvertibile nella situazione esaminata dal Tribunale di Campobasso, che ha dovuto pronunciarsi sulla detraibilità dal reddito complessivo dell’assegno di mantenimento per il coniuge separato. Trattasi, come è noto, di una somma di denaro che fuoriesce dal reddito dell’obbligato per entrare a far parte del reddito del destinatario; di una somma, quindi, che non viene goduta dall’obbligato, ma dal beneficiario della stessa, che è tenuto a pagare l’imposta ad essa relativa (l’assegno si cumula ai redditi del beneficiario). Non si vede, quindi, come una somma di denaro trattata, fiscalmente, come reddito del coniuge destinatario possa concorrere, ai fine della determinazione del reddito rilevante ai sensi dell’art. 76 dPR 115/2002, a formare il reddito imponibile dell’obbligato. La conseguenza di quanto sopra è che il ricorso del Pubblico Ministero va rigettato.

P.Q.M.

Rigetta il ricorso del Pubblico Ministero.

 

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