CORTE COSTITUZIONALE: REVOCA GRATUITO PATROCINIO SE LA PARTE OFFESA CALUNNIA?

LA CONSULTA AFFRONTA LA QUESTIONE SE NEL PENALE SI PUÒ REVOCARE L’AMMISSIONE AL GRATUITO PATROCINIO DELLA PERSONA OFFESA.

PARE PROPRIO DI NO!

REVOCA-GRATUITO-PATROCINIO-SE-LA-PARTE-OFFESA-CALUNNIA

REVOCA-GRATUITO-PATROCINIO-SE-LA-PARTE-OFFESA-CALUNNIA

Con la sentenza n. 47/2020, la Corte Costituzionale affronta la questione della costituzionalità dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002.

La Corte, innanzitutto, precisa che l’istituto del patrocinio a spese dello Stato è riconducibile ad una disciplina processuale nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà di quanto previsto. Infatti, in tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018).

In ambito extra penale, il riconoscimento del beneficio è richiesto, dal comma 2 dell’art. 74 del d.P.R. n. 115 del 2002, che le ragioni di chi agisce o resiste «risultino non manifestamente infondate»: per questa ragione è previsto la revoca dell’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

Tutto ciò non vale invece per il processo penale, del quale il legislatore ha inteso sempre privilegiare le specificità: da un lato, l’essere frutto di un’azione dell’organo pubblico che viene “subita” dal soggetto che aspira al beneficio in parola; dall’altro, avere, come posta in gioco, il bene supremo della libertà personale (sentenza n. 237 del 2015). In quest’ultimo caso è garantita una più intensa protezione, sganciando l’ammissione al beneficio de quo da qualsiasi filtro di non manifesta infondatezza delle ragioni del soggetto interessato.

Il detto percorso motivo si attaglia però al solo indagato o imputato, che, appunto, “subisce” l’azione dell’organo pubblico e vede messa in gioco la propria libertà personale, meno invece si addicono alla persona offesa, che è solo un soggetto eventuale del procedimento penale, nel quale, comunque, non è coinvolta la sfera della sua libertà personale (ordinanze n. 254 del 2011 e n. 339 del 2008). Per la parte offesa risultano, invero, solo la necessità di garantirle l’effettività del diritto di difesa, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico all’esercizio delle prerogative difensive con l’assistenza tecnica di un difensore, e la specificità del ruolo ad essa riconosciuto che si sostanzia in «un’attività di supporto e di controllo» dell’operato del pubblico ministero tesa a realizzare una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale (sentenze n. 23 del 2015 e n. 353 del 1991; ordinanza n. 3 del 2020).

Per tutte queste ragioni, quando la persone offesa pone in essere una condotta calunniosa, infatti, non solo viene meno ogni esigenza di tutela del diritto di difesa, ma è addirittura “tradito” il ruolo di supporto e controllo tradizionalmente riconosciutole, posto che, in una sorta di eterogenesi dei fini, la presunta persona offesa, invece di coadiuvare il pubblico ministero, ne intralcia l’operato e lo trae in inganno, accusando un terzo di un reato nella piena consapevolezza della sua innocenza.

Si potrebbe quindi ritenere necessario il desumere una revocabilità dell’ammissione, ma la Corte precisa che si tratterebbe di introdurre ex novo una distinta ipotesi di revoca del decreto di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, che non si può realizzare in via giurisdizionale perché andrebbe a compiere una scelta distonica rispetto a quella effettuata dal legislatore di non operare alcuna distinzione tra i soggetti del processo penale.

Pertanto, pur se la questione di fondo esiste, deve essere ritenuta riservata al legislatore e, allo stato, la persona offesa che diventa imputata di calunnia non può vedere revocata la sua ammissione al patrocinio a spese dello Stato.

Riportiamo di seguito la disciplina di riferimento ed il testo integrale della sentenza Corte Costituzionale n. 47/2020.

Avv. Alberto Vigani

per Associazione Art. 24 Cost.




***

Art. 76 DPR 115-2002 (Condizioni per l’ammissione)

1. Può essere ammesso al patrocinio chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta personale sul reddito, risultante dall’ultima dichiarazione, non superiore a euro 10.766,33.
2. Salvo quanto previsto dall’articolo 92, se l’interessato convive con il coniuge o con altri familiari, il reddito è costituito dalla somma dei redditi conseguiti nel medesimo periodo da ogni componente della famiglia, compreso l’istante.
3. Ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo d’imposta, ovvero ad imposta sostitutiva.
4. Si tiene conto del solo reddito personale quando sono oggetto della causa diritti della personalità, ovvero nei processi in cui gli interessi del richiedente sono in conflitto con quelli degli altri componenti il nucleo familiare con lui conviventi.
4-bis. Per i soggetti già condannati con sentenza definitiva per i reati di cui agli articoli 416-bis del codice penale, 291-quater del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 23 gennaio 1973, n. 43, 73, limitatamente alle ipotesi aggravate ai sensi dell’articolo 80, e 74, comma 1, del testo unico di cui al decreto del Presidente della Repubblica 9 ottobre 1990, n. 309, nonché per i reati commessi avvalendosi delle condizioni previste dal predetto articolo 416-bis ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo, ai soli fini del presente decreto, il reddito si ritiene superiore ai limiti previsti.
4-ter. La persona offesa dai reati di cui agli articoli 572, 583-bis, 609-bis, 609-quater, 609-octies e 612-bis, nonché, ove commessi in danno di minori, dai reati di cui agli articoli 600, 600-bis, 600-ter, 600-quinquies, 601, 602, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, può essere ammessa al patrocinio anche in deroga ai limiti di reddito previsti dal presente decreto.

Art. 112 DPR 115-2002 (Revoca del decreto di ammissione)

1. Il magistrato, con decreto motivato, revoca l’ammissione:
a) se, nei termini previsti dall’articolo 79, comma 1, lettera d), l’interessato non provvede a comunicare le eventuali variazioni dei limiti di reddito;
b) se, a seguito della comunicazione prevista dall’articolo 79, comma 1, lettera d), le condizioni di reddito risultano variate in misura tale da escludere l’ammissione;
c) se, nei termini previsti dall’articolo 94, comma 3, non sia stata prodotta la certificazione dell’autorità consolare;
d) d’ufficio o su richiesta dell’ufficio finanziario competente presentata in ogni momento e, comunque, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli articoli articoli 76 e 92;
2. Il magistrato può disporre la revoca dell’ammissione anche all’esito delle integrazioni richieste ai sensi dell’articolo 96, commi 2 e 3.
3. Competente a provvedere è il magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti ovvero al momento in cui la comunicazione è effettuata o, se procede la Corte di cassazione, il magistrato che ha emesso il provvedimento impugnato.
4. Copia del decreto è comunicata all’interessato con le modalità indicate nell’articolo 97.

Art. 95 DPR 115-2002 (Sanzioni)

1. La falsità o le omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni previste dall’articolo 79, comma 1, lettere b), c) e d), sono punite con la reclusione da uno a cinque anni e con la multa da euro 309,87 a euro 1.549,37. La pena è aumentata se dal fatto consegue l’ottenimento o il mantenimento dell’ammissione al patrocinio; la condanna importa la revoca, con efficacia retroattiva, e il recupero a carico del responsabile delle somme corrisposte dallo Stato.

Art. 79 DPR 115-2002 (Contenuto dell’istanza)

1. L’istanza è redatta in carta semplice e, a pena di inammissibilità, contiene:
a) la richiesta di ammissione al patrocinio e l’indicazione del processo cui si riferisce, se già pendente;
b) le generalità dell’interessato e dei componenti la famiglia anagrafica, unitamente ai rispettivi codici fiscali;
c) una dichiarazione sostitutiva di certificazione da parte dell’interessato, ai sensi dell’articolo 46, comma 1, lettera o), del decreto del Presidente della Repubblica 28 dicembre 2000, n. 445, attestante la sussistenza delle condizioni di reddito previste per l’ammissione, con specifica determinazione del reddito complessivo valutabile a tali fini, determinato secondo le modalità indicate nell’articolo 76;
d) l’impegno a comunicare, fino a che il processo non sia definito, le variazioni rilevanti dei limiti di reddito, verificatesi nell’anno precedente, entro trenta giorni dalla scadenza del termine di un anno, dalla data di presentazione dell’istanza o della eventuale precedente comunicazione di variazione.
2. Per i redditi prodotti all’estero, il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea correda l’istanza con una certificazione dell’autorità consolare competente, che attesta la veridicità di quanto in essa indicato.
3. Gli interessati, se il giudice procedente o il consiglio dell’ordine degli avvocati competente a provvedere in via anticipata lo richiedono, sono tenuti, a pena di inammissibilità dell’istanza, a produrre la documentazione necessaria ad accertare la veridicità di quanto in essa indicato.

***

Sentenza

Giudizio: GIUDIZIO DI LEGITTIMITÀ COSTITUZIONALE IN VIA INCIDENTALE

Presidente: CARTABIA – Redattore: CORAGGIO

Camera di Consiglio del 12/02/2020; Decisione del 12/02/2020

Deposito del 11/03/2020; Pubblicazione in G. U.

Norme impugnate: Art. 112 del decreto del Presidente della Repubblica 30/05/2002, n. 115.

Atti decisi: ord. 120/2019

SENTENZA N. 47

ANNO 2020

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori: Presidente: Marta CARTABIA; Giudici : Aldo CAROSI, Mario Rosario MORELLI, Giancarlo CORAGGIO, Giuliano AMATO, Silvana SCIARRA, Daria de PRETIS, Nicolò ZANON, Franco MODUGNO, Augusto Antonio BARBERA, Giulio PROSPERETTI, Giovanni AMOROSO, Francesco VIGANÒ, Luca ANTONINI, Stefano PETITTI,

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», promosso dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata sull’istanza proposta da C. R., con ordinanza del 5 ottobre 2018, iscritta al n. 120 del registro ordinanze 2019 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell’anno 2019.

Udito nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020 il Giudice relatore Giancarlo Coraggio;

deliberato nella camera di consiglio del 12 febbraio 2020.

Ritenuto in fatto

1.− Con ordinanza del 5 ottobre 2018, iscritta al n. 120 reg. ord. 2019, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002.

2.− Ad avviso del rimettente la disposizione censurata violerebbe l’art. 3 Cost. nella parte in cui non prevede che il giudice revochi il decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel «caso limite» in cui il soggetto beneficiato abbia commesso reato di calunnia incolpando un soggetto, che sa innocente, dei reati relativamente ai quali essa ha assunto la veste di persona offesa.

Il giudice a quo premette che, con decreto del 29 marzo 2017, C. D. è stata ammessa al beneficio in parola ex art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002, in quanto persona offesa del reato di cui all’art. 609-bis del codice penale, avendo ella denunciato di essere stata oggetto di violenze sessuali da parte di tale C. G. In data 7 luglio 2017 il giudice per le indagini preliminari disponeva, su richiesta del pubblico ministero, l’archiviazione del procedimento a carico di C. G. e disponeva altresì la trasmissione degli atti alla Procura nei confronti della donna per il reato di calunnia. In data 15 marzo 2018, il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Torre Annunziata pronunciava sentenza ai sensi degli artt. 444 e seguenti del codice di procedura penale per il reato di cui agli artt. 81 cpv. e 368 cod. pen., applicando alla C. D. la pena di anni due e mesi quattro di reclusione.

2.1.− In punto di rilevanza, il rimettente espone che è stata avanzata istanza di liquidazione della attività prestata dal legale della C. D. e che tale istanza, in assenza della possibilità di revoca con efficacia retroattiva del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato, deve essere liquidata pur se dalla complessiva disamina della vicenda emerge con certezza l’insussistenza del reato di cui il soggetto beneficiato era stata reputato persona offesa, ovverosia la veste che giustifica l’ammissione beneficio.

2.2.− Quanto al profilo della non manifesta infondatezza, viene sostenuto che, se pure appare scelta legislativa non censurabile quella per cui i soggetti che debbano, quantomeno a una prima sommaria valutazione, ritenersi persone offese abbiano il diritto di avvalersi del beneficio in esame (comportante chiaramente un onere economico per lo Stato e di riflesso per tutta la collettività) per sostenere le loro ragioni nel procedimento, ciò non può comportare che gli stessi possano avvalersene anche ove, successivamente, emergano elementi che non solo facciano sorgere dubbi sulla esistenza di tale veste, ma addirittura rivelino la calunniosità della iniziale denuncia sulla cui base tale veste è stata presunta. Ed invero – sostiene il giudice a quo – se di certo un’archiviazione o una sentenza di proscioglimento non debbono comportare la revoca dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, in quanto innegabilmente questa evenienza produrrebbe un inaccettabile effetto deterrente rispetto all’esercizio del diritto di difesa della persona offesa, per il conseguente timore che una pronuncia a lei sfavorevole potrebbe comportare la necessità di sostenere le spese legali della difesa nelle more espletata a suo favore, a diverse conclusioni dovrebbe giungersi nel «caso limite» in cui non solo, semplicemente, non sia stata adeguatamente provata la commissione del reato o la sua attribuibilità al soggetto al quale è ascritto ma sia stata accertata la calunniosità della accusa mossa dalla presunta persona offesa. In tale ipotesi, infatti, lo Stato dovrebbe sostenere la spesa della assistenza legale di colui che dapprima commette il reato di calunnia – incolpando di un delitto un soggetto che sa innocente – e poi addossa alla collettività i costi della sua scelta di perseverare nel proposito illecito, avvalendosi di un difensore in ausilio delle proprie (inesistenti) ragioni nel relativo procedimento a carico del soggetto indagato.

3.− Il Presidente del Consiglio dei ministri non è intervenuto in giudizio.

Considerato in diritto

1.− Il Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata ha sollevato, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002.

In particolare, viene reputato «contrastante con fondamentali criteri di logica e razionalità» la mancata previsione, tra le ipotesi di revoca, di quella rappresentata dal «caso limite» di intervenuta sentenza di condanna per calunnia del beneficiato per avere incolpato un soggetto, sapendolo innocente, dei reati relativamente ai quali egli ha assunto la veste di persona offesa.

2.− La questione di legittimità costituzionale in esame concerne, dunque, la revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato nel processo penale. Le ipotesi in cui essa viene disposta sono elencate dal censurato art. 112 del d.P.R. n. 115 del 2002 e sono legate alla mancanza (originaria o sopravvenuta) delle condizioni reddituali richieste per l’ammissione al beneficio in parola ovvero all’inosservanza dei termini entro cui devono essere effettuate determinate comunicazioni di variazione dei limiti di reddito o depositati specifici documenti. Ulteriore ipotesi di revoca è, poi, prevista dall’art. 95 del medesimo d.P.R., in caso di condanna per il reato di falsità e/o omissioni nella dichiarazione sostitutiva di certificazione, nelle dichiarazioni, nelle indicazioni e nelle comunicazioni disciplinate dal precedente art. 79, comma 1, lettere b), c) e d).

3.− Questa Corte ha più volte ribadito la pacifica riconducibilità dell’istituto del patrocinio a spese dello Stato alla disciplina processuale nella cui conformazione il legislatore gode di ampia discrezionalità, con il solo limite della manifesta irragionevolezza o arbitrarietà delle scelte adottate (da ultimo, sentenze n. 97 del 2019 e n. 81 del 2017; ordinanza n. 3 del 2020).

3.1.− Nell’opera di bilanciamento degli interessi in gioco, la giurisprudenza costituzionale ha, di frequente, valorizzato l’obbiettivo di limitare le spese giudiziali (da ultimo, sentenza n. 178 del 2017) e, in particolare, anche di recente, ha sottolineato che, in tema di patrocinio a spese dello Stato, è cruciale l’individuazione di un punto di equilibrio tra garanzia del diritto di difesa per i non abbienti e necessità di contenimento della spesa pubblica in materia di giustizia (sentenza n. 16 del 2018).

4.− In questa prospettiva si spiega che per tutti i processi diversi da quello penale (civile, amministrativo, contabile, tributario e di volontaria giurisdizione) per il riconoscimento del beneficio è richiesto, dal comma 2 dell’art. 74 del d.P.R. n. 115 del 2002, che le ragioni di chi agisce o resiste «risultino non manifestamente infondate», e, in maniera speculare, è previsto che venga disposta la revoca dell’ammissione al patrocinio provvisoriamente disposta dal consiglio dell’ordine degli avvocati se l’interessato ha agito o resistito in giudizio con mala fede o colpa grave.

La finalità perseguita è evidentemente quella di non incoraggiare iniziative temerarie che, da un lato, aggraverebbero il carico dei processi, e, dall’altro, esporrebbero la controparte (abbiente, e quindi con spese a suo carico, o non abbiente, e quindi con ingiustificato aggravio per lo Stato) ad azioni temerarie, con il rischio di determinare una “discriminazione a rovescio”, inducendo i non abbienti a intentare cause palesemente infondate senza dover tener conto del loro peso economico, peso che invece devono sopportare coloro che non rientrano nella platea dei beneficiari.

In sostanza, la previsione di un filtro legato alla non manifesta infondatezza delle ragioni dell’aspirante beneficiario deve ritenersi giustificata, anzi, opportuna, alla luce degli altri interessi di rilievo costituzionale in campo.

Come ha affermato questa Corte, tutto ciò non vale per il processo penale, del quale il legislatore ha inteso sempre privilegiare le specificità: da un lato, l’essere frutto di un’azione dell’organo pubblico che viene “subita” dal soggetto che aspira al beneficio in parola; dall’altro, avere, come posta in gioco, il bene supremo della libertà personale (sentenza n. 237 del 2015). Appare giustificato, dunque, che, pur in un sistema a risorse economiche limitate, venga assicurata in questo caso una più intensa protezione, sganciando l’ammissione al beneficio de quo da qualsiasi filtro di non manifesta infondatezza delle ragioni del soggetto interessato.

4.1.− Va peraltro osservato che queste considerazioni si attagliano al solo indagato o imputato, che, appunto, “subisce” l’azione dell’organo pubblico e vede messa in gioco la propria libertà personale, meno invece si addicono alla persona offesa, che è solo un soggetto eventuale del procedimento penale, nel quale, comunque, non è coinvolta la sfera della sua libertà personale (ordinanze n. 254 del 2011 e n. 339 del 2008).

Ed infatti, con riferimento alla figura della persona offesa, nell’ambito di una prospettiva più legata alle sue peculiarità, questa Corte ha osservato che l’opzione legislativa in esame è giustificata da due elementi: la necessità di garantirle l’effettività del diritto di difesa, rimuovendo gli ostacoli di ordine economico all’esercizio delle prerogative difensive con l’assistenza tecnica di un difensore, e la specificità del ruolo ad essa riconosciuto (particolarmente valorizzato proprio nello stadio delle indagini preliminari), che si sostanzia in «un’attività di supporto e di controllo» dell’operato del pubblico ministero tesa a realizzare una sorta di contributo all’esercizio dell’azione penale (sentenze n. 23 del 2015 e n. 353 del 1991; ordinanza n. 3 del 2020).

4.2.− Ebbene, entrambi questi valori, di ben diversa e più limitata portata, non parrebbero giustificare l’attribuzione del beneficio ad un soggetto rispetto al quale la veste di persona offesa è stata attribuita dal pubblico ministero sulla base di elementi esposti dalla medesima nella denuncia-querela avente ad oggetto fatti in ordine ai quali ella ha poi riportato condanna per calunnia.

A fronte di una condotta calunniosa, infatti, non solo viene meno ogni esigenza di tutela del diritto di difesa, ma è addirittura “tradito” il ruolo di supporto e controllo tradizionalmente riconosciutole, posto che, in una sorta di eterogenesi dei fini, la presunta persona offesa, invece di coadiuvare il pubblico ministero, ne intralcia l’operato e lo trae in inganno, accusando un terzo di un reato nella piena consapevolezza della sua innocenza.

5.− Ciò tuttavia non si può tradurre in una pronuncia di accoglimento.

Il petitum, infatti, è fortemente manipolativo, in quanto non solo mira ad introdurre una nuova ipotesi di revoca del decreto di ammissione al beneficio del patrocinio a spese dello Stato, ma implica anche una scelta comunque distonica rispetto a quella effettuata dal legislatore di non operare alcuna distinzione tra i soggetti del processo penale.

Di fronte a materie, come quella processuale, nel cui ambito è riconosciuta l’ampia discrezionalità del legislatore, è costante l’orientamento di questa Corte di ritenere inammissibili questioni rispetto alle quali si chiede una pronuncia connotata da un cospicuo tasso di manipolatività (sentenze n. 219 del 2019, n. 23 del 2016 e n. 277 del 2014; ordinanze n. 254 e n. 122 del 2016).

6.− La questione proposta deve, pertanto, essere dichiarata inammissibile.

per questi motivi

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara l’inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell’art. 112 del d.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, recante «Testo unico delle disposizioni legislative e regolamentari in materia di spese di giustizia (Testo A)», nella parte in cui non prevede la possibilità di revoca del decreto di ammissione al patrocinio a spese dello Stato in caso di «acclarata mancanza della veste di persona offesa» dei reati di cui all’art. 76, comma 4-ter, del d.P.R. n. 115 del 2002, sollevata, in riferimento all’art. 3 della Costituzione, dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale ordinario di Macerata, con l’ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 12 febbraio 2020.

F.to:

Marta CARTABIA, Presidente

Giancarlo CORAGGIO, Redattore

Filomena PERRONE, Cancelliere

Depositata in Cancelleria l’11 marzo 2020.

Il Cancelliere

F.to: Filomena PERRONE

***

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.

Verified by ExactMetrics