QUESTO NON E’ UN PAESE PER INNOCENTI!

DICIAMOCELO: QUESTO NON E’ UN PAESE PER INNOCENTI!

Non è un paese per innocenti!

Non è un paese per innocenti!

In un mondo normale, con istituzioni normali e un’opinione pubblica normale, nessun si stupirebbe se qualcuno desse per scontata una giustizia effettivamente accessibile.

Ma qui non è così. Qui la giustizia non è per tutti.

Il nostro ordinamento è forse fra i più evoluti, sicuramente è quello con la maggior storia giuridica, abbiamo avuto e siamo stati protagonisti del pensiero occidentale in materia di democrazia e diritti. Purtroppo non basta. O almeno non basta più.

Mi chiederete perché.
La risposta non è al singolare. Probabilmente non è nemmeno nell’ordine delle cose finite.

Di un fatto però sono certo: “il nostro sistema non funziona anche per l’errata concezione di cos’è e cosa fa l’avvocato“.

Facciamo un esempio?
Bene. Se usciamo dalla nostra comfort zone, e chiediamo a qualche conoscente privo di confidenziale condiscendenza “a cosa serve l’avvocato”, ci sentiamo raccontare una sfilza di luoghi comuni che vanno dalle analogie con la chemioterapia (male necessario) fino alla definizione di “strumento anarchico antisistema” (teoria del complotto e dipendenze).
Non è però questa la risposta. O, più precisamente, non è ciò che tutti intendono davvero.

Stiamo perdendo qualcosa.

Ci manca il senso dell’essere necessari!

  • Nessuno in Italia si ricorda che Abraham Lincoln, il Mahatma Gandhi e Nelson Mandela erano prima di tutto Avvocati.
  • Nessuno si è appuntato che le grandi battaglie per la giustizia civile le hanno fatte, prima di tutti, gli avvocati.
  • Nessuno pare abbia più voglia di ricordare che dovunque è nata una democrazia ci sono stati avvocati che prima di scrivere la costituzione hanno messo a rischio la la vita per difendere la libertà.



In realtà in Italia, come in qualunque paese civile, gli Avvocati sono lo strumento obbligatoriamente necessario per chiedere giustizia. Sono, contemporaneamente, sia la terapia contro i torti subiti che il vaccino per sfuggire alla negazione dei propri diritti.

Altrove lo sanno tutti.

Qui da noi, meno.

Per questo abbiamo via via visto la professione forense scendere la china dell’indifferenza sociale per arrivare a confondersi nel rumore di fondo delle attività inutili al benessere collettivo. Anzi, stiamo entrando persino nella soglia del nocivo.

Pare un percorso senza ritorno.

Non è però qualcosa che capita per caso.

Al contrario potremmo dire che ci stanno:

  • un beneficiario,
  • una regia,
  • un esecutore
  • e, restando nel linguaggio del criminologo, pure una pistola fumante.

– Partiamo dal soggetto antagonista all’avvocatura: chi è il beneficiario della delegittimazione della professione forense?
Se ci guardiamo attorno si comprende intuitivamente che la difesa frammentata ed ingovernabile dei diritti di una moltitudine indistinta nuoce a chi vuole gestire la massa addomesticandone le richiesta di tutela: l’avversario è quindi da collocarsi nei grandi centri di poteri economico e finanziario che si trovano in Italia ed in Europa.

– La regia invece la dobbiamo tutta a chi ha subito, con volonterosa passività, la pressione delle lobbies economiche che chiedono l’ammorbidimento di un’avvocatura troppo indisciplinata: i nomi sono tanti, ma possiamo comunque riconoscerli in una comunione di intenti all’interno di quei circuiti parlamentari dove troppi onorevoli compiacenti si sono inchinati alle richieste del capitale, senza chiedersi quale fosse il fine di questa riforma o quella controriforma.

– L’esecutore materiale lo si è poi trovato troppo spesso nel combinato disposto di magistratura, alta gerarchia forense e ministero che,  in passato, hanno ritenuto che l’avvocatura – nella sua poliedrica molteplicità – fosse un problema e non una risorsa. La questione ha cambiato verso da ultimo, dal ministro Orlando in poi, ma oramai troppo si era fatto in quella direzione e la pistola aveva già sparato.

– Infine, lo strumento. Il mezzo per rasare al suolo ogni tentativo di resistenza è stato l’intervento duplice di legge professionale e tariffario (con la funesta applicazione di quest’ultimo). La prima, subordinando l’avvocatura all’applicazione di farraginosi regolamenti e decreti attuativi, la ha paralizzata e la ha resa ancor più vittima di quell’inedia che la attanagliava da anni impedendole ogni presa di coscienza, privandola di leadership indipendente e di capacità di rivendicare il proprio ruolo sociale. A ciò si è aggiunta la combinazione del tariffario ridotto a termini lillipuziani e la sua applicazione su orizzonti misurati in micron.

I fans del sig. Monti ci avevano raccontato in passato che il costo per accedere alla giustizia italiana era di 4 punti percentuali più alto della media europea (non importa che la si misurasse passando per Cipro e la Bulgaria) e quindi che si doveva passare dal 21 % al 17 % sul valore del contendere. Peccato che poi la riduzione postmontiana delle parcelle  si sia livellata di media su un dimezzamento degli introiti per singola pratica. A questo è corrisposto un inasprimento dei costi richiesti dallo Stato per accedere alla giustizia.

Insomma, marginalità ridotta, costi crescenti e campagna di dequalificazione sociale. Di lì si poi giunti ad una giustizia per certo poco referenziata e poco riconosciuta nei soggetti che ne sono i principali demiurghi. Anzi, che gli avvocati ne fossero i protagonisti non lo si deve più proprio dire: e quindi, gli avvocati non sono i paladini dei più deboli, i difensori di chi ha subito un torto, i confessori di chi non ha più speranze. Si deve solo parlare di numeri, di rilevanza economica, di sostenibilità di bilancio.

Insomma, il pensiero main stream accetta solo che il riconoscimento dei diritti venga reso funzionale alla gestione matematica dell’economia  nazionale. I diritti vengono dopo gli utili e sono subordinati ad una preventivazione dei costi. Si comincia a dire che quel diritto non possiamo permettercelo, questa sentenza non ha guardato il bilancio nazionale e così via.

Purtroppo, purtroppo per noi, questa non è Giustizia.

E così la stessa avvocatura vede spingere l’acceleratore per aumentarne l’incapacità a reagire alla compressione dei diritti che proviene dallo stesso sistema; perchè ricordatelo, lo diceva Ayn Rand, dei due soggetti capaci di violare i diritti dei cittadini, uno è lo Stato.

Da qui possiamo intuire facilmente che la querelle rimasta ancora aperta è proprio quella delle risorse di colui al quale viene affidata la difesa. Per strangolarlo, renderlo imbelle e quindi poco pericoloso nella sua battaglia per i diritti, basta togliere benzina al suo motore.

A questo ci ha pensato una fetta dei giudicanti che, a fronte di  un tariffario già ridotto, ha pensato di proseguire su quella strada cercando forme di liquidazione sempre minori a quanto consentito di media. Arrivando al minimo del minimo, e ancor di meno. Di peggio si può dire solo ricordando che in materia di legal aid si liquida al ribasso su un dato di partenza che è già decurtato dal 30 al 50 %.

Si tolgono risorse all’avvocatura come si toglierebbe l’aria ad un qualunque essere che respira, per neutralizzarlo, per farlo tacere, per togliere forza a chi parla per i più deboli.

Alla faccia di tutti i giusti e gli innocenti che chiedevano di essere difesi.
Per questo possiamo dire che “non è un paese per innocenti”, ancor meno per giusti.

Andrè Moreau

 

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