L’ABROGAZIONE DEL TARIFFARIO BLOCCA IL GRATUITO PATROCINIO: MA E’ COSTITUZIONALE?

MONTI HA DIMENTICATO LA LIQUIDAZIONE DEL GRATUITO PATROCINIO

Tariffario Forense abrogato!

Tariffario Forense abrogato!

Il Governo Monti ha abrogato il tariffario Forense. Non ci sono norme di collegamento con il Testo Unico lasciando così il patrocinio a spese dello Stato completamente congelato.

Infatti l’art 130 
(rubricato: Compensi del difensore, dell’ausiliario del magistrato e del consulente tecnico di parte) prevede che: “Gli importi spettanti al difensore, all’ausiliario del magistrato e al consulente tecnico di parte sono ridotti della metà“. Il riferimento è ai compensi previsti a favore di ciascun professionista secondo le sue tariffe di categoria. La scomparsa improvvisa, senza alcuna previsione transitoria, impedisce perciò, dal giorno dell’abrogazione con decreto legge di tutti i tariffari ordinistici, la liquidazione di ogni compenso ai soggetti professionali che operano nell’ambito del patrocinio a spese dello Stato.

I magistrati non hanno nessun termine a cui rinviare la previsione di legge dell’art. 130 del citato DPR 115/2002 che è rimasta scollegata da ogni possibile parametro impiegabile per la determinazione di un equo compenso poiché non vi più nulla che consenta di determinare cosa spetta all’avvocato, all’ausiliario del Giudice ed al consulente di parte.

In realtà questa non è altro che l’estensione di un problema già rilevato anche per la mancanza di ogni termine comparativo per la liquidazioen delle spese giudiziali a favore dei professionisti che hanno operato nel corso del processo in difetto dell’emanazione del previsto, ma inespresso, decreto ministeriale.

In effetti, il testo vigente dell’art. 9 del D.L. n. 1 del 24 gennaio 2012, recita così:


Art. 9

Disposizioni sulle professioni regolamentate

1. Sono abrogate le tariffe  delle  professioni  regolamentate  nel sistema ordinistico.

2. Ferma restando l’abrogazione di cui al  comma  1,  nel  caso  di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il  compenso  del
professionista e’ determinato con riferimento a  parametri  stabiliti con decreto del ministro vigilante. Con decreto  del  Ministro  della
Giustizia di concerto con il Ministro dell’Economia e  delle  Finanze sono anche stabiliti i parametri per oneri e contribuzioni alle casse
professionale e agli archivi precedentemente  basati  sulle  tariffe.

L’utilizzazione  dei  parametri   nei   contratti   individuali   tra professionisti e consumatori o microimprese da’ luogo  alla  nullita’
della clausola relativa alla determinazione  del  compenso  ai  sensi dell’articolo 36 del decreto legislativo 6 settembre 2005, n. 206.

3. Il compenso per le  prestazioni  professionali  e’  pattuito  al momento   del   conferimento    dell’incarico    professionale.    Il professionista deve rendere noto al cliente il grado di  complessita’ dell’incarico, fornendo tutte le informazioni utili circa  gli  oneri ipotizzabili  dal   momento   del   conferimento   alla   conclusione dell’incarico  e  deve  altresi’  indicare  i  dati   della   polizza
assicurativa per  i  danni  provocati  nell’esercizio  dell’attivita’ professionale. In ogni caso la misura del compenso, previamente  resa
nota al cliente anche in forma scritta se da questi  richiesta,  deve essere adeguata all’importanza dell’opera e va pattuita indicando per
le singole prestazioni tutte le voci di costo, comprensive di  spese, oneri e contributi. L’inottemperanza di quanto disposto nel  presente
comma costituisce illecito disciplinare del professionista.

4. Sono abrogate le disposizioni vigenti che per la  determinazione del compenso del professionista, rinviano  alle  tariffe  di  cui  al
comma 1.

5. La durata del tirocinio previsto per l’accesso alle  professioni regolamentate non potra’ essere superiore a diciotto  mesi  e  per  i
primi sei mesi, potra’ essere  svolto,  in  presenza  di  un’apposita convenzione quadro stipulata tra i consigli nazionali degli ordini  e
il ministro dell’istruzione, universita’ e ricerca,  in  concomitanza col corso di studio  per  il  conseguimento  della  laurea  di  primo
livello  o  della  laurea  magistrale   o   specialistica.   Analoghe convenzioni possono essere stipulate tra i Consigli  nazionali  degli
ordini e il Ministro per la pubblica amministrazione e  l’innovazione tecnologica  per  lo  svolgimento  del  tirocinio  presso   pubbliche
amministrazioni, all’esito del corso di laurea. Le  disposizioni  del presente comma non si applicano alle  professioni  sanitarie  per  le
quali resta confermata la normativa vigente.

6. All’articolo 3, comma 5, del decreto-legge 13  agosto  2011,  n. 138, convertito, con modificazioni, dalla legge 14 settembre 2011, n.
148, sono apportate le seguenti modificazioni:
a) alla lettera c), il  secondo,  terzo  e  quarto  periodo  sono soppressi;
b) la lettera d) e’ soppressa.

7. Dall’attuazione del presente articolo non devono derivare  nuovi o maggiori oneri per la finanza pubblica.

Con la semplice lettura del testo legislativo si rileva che, al momento della liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il  compenso  del professionista deve essere computato solo con parametri  stabiliti con decreto del ministro vigilante. Non ci può perciò essere nè una determinazione forfetaria, o di equita, o secondo gli usi o salvando il vecchio tariffario fino all’entrata in vigore del nuovo. Così e basta. Tutto è finito.

Con questa disposizione ai Giudici non residuano più riferimenti per poter liquidare le parcelle di qualunque professionista che abbia operato nel processo. La vicenda, maldestra e sorprendente, ha gettato nel panico gli uffici giudiziari ed anche centina di migliaia di soggetti che dalla liquidazione di quelle parcelle vedono dipendere la sopravvivenza quotidiana e lo sbarcare il lunario.

Sull’onda dello shock cagionato dal provvedimento d’urgenza del Governo Monti è nata una reazione di portata nazionale che ha visto, all’inizio, i Giudici sospendere ogni liquidazione di note spese con il rinvio delle scadenze collegate e, poi, il 1 febbraio 2012, il Tribunale di Cosenza sollevare questione di illegittimità costituzionale del decreto legge in ragione della mancanza di alcuna disciplina transitoria. E questo anche perchè il disposto normativo neointrodotto non consentirebbe di ritenere ultrattivo il vecchio regime delle tariffe ed obbliga ad applicare il nuovo regime a tutti i processi in corso che non siano già stati definiti anche per quel che riguarda la condanna alle spese processuali.

Riporto di seguito l’ordinanza di rimessione alla Corte Costituzionale del Tribunale cosentino gentilmente messa a disposizione dalla collega Maria Talarico.

Avv. Alberto Vigani

 

 

IL TRIBUNALE DI COSENZA
Proc. n. 5299/2011 Ruolo gen.
in persona del dott. Giuseppe Greco
ha pronunciato la seguente

o r d i n a n z a

nel procedimento ex art. 700 cod.proc.civ. vertente tra:
Società in accomandita semplice “R. Hotel”, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Bisignano al viale Roma n. 11 presso lo studio degli avvocati Paola Calabria ed Emiliano Calabria dai quali è rappresentata e difesa giusta procura a margine del ricorso,
– ricorrente,
e
Società per azioni E.N.E.L. Servizio Elettrico, in persona del legale rappresentante pro-tempore, elettivamente domiciliata in Cosenza alla via E. Tarantelli n. 31 presso lo studio dell’avvocato Francesco Perugini dal quale è rappresentata e difesa in forza di procura in calce alla memoria difensiva,
– resistente.

***

Premesso

che in data ventisette dicembre duemilaundici il sottoscritto giudice, dopo aver assunto sommarie informazioni testimoniali, ha adottato ai sensi del capoverso dell’art. 669-sexies, il seguente decreto:
“Letto il ricorso presentato dalla società in accomandita semplice R. Hotel, rappresentata e difesa dagli avv.ti Paola Calabria ed Emiliano Calabria in data ventitré dicembre duemilaundici; – esaminata la produzione allegata al ricorso; – assunte sommarie informazioni; visti gli artt. 700 e 669-bis e seguenti cod.proc.civ.; – osserva: – la S.p.a. Enel Servizio Elettrico ha disattivato, in data ventidue dicembre duemilaundici, la fornitura di energia somministrata alla società ricorrente presso una struttura alberghiera dalla stessa gestita in Cosenza alla via delle Madaglie d’oro sul presupposto che la beneficiaria della somminsitrazione sia rimasta inadempiente nel pagamento di quattro fatture emesse tutte in data cinque aprile duemilaundici dell’importo complessivo di € 46.981,59; – l’importo delle suddette fatture – e dei relativi consumi – è stato determinato dal fornitore di energia presuntivamente in relazione al periodo due febbraio duemilaotto/nove dicembre duemiladieci ovvero dal momento della installazione dell’apprecchio di misurazione, risultato guasto, al giorno della sua sostituzione; – la determinazione presuntiva del consumo è stata compiuta “tenedo conto della media dei consumi giornalieri tenuta dalla cliente successivamente” alla sostituzione dell’apparecchio di misurazione; – siffatta determinazione, alla luce della istruzione sommaria compiuta in data odierna, appare del tutto arbitraria e inattendibile in quanto è emerso chiaramente che nel periodo al quale si riferisce il calcolo del consumo presunto la struttura alberghiera non era ancora funzionante mentre la media dei consumi giornalieri è stata ricavata dall’osservazione dei consumi effettuati in epoca nella quale la struttura era pienamente operativa; – difettando la omogeneità dei periodi di osservazione è del tutto evidente che appare discutibile la correttezza del criterio utilizzato per la determinazione del consumo presunto; – a ciò va aggiunto che la parte istante ha già versato la somma di € 9.000,00 a copertura degli eventuali consumi che dovessero risultare dovuti a causa del cattivo funzionamento dell’apparato misuratore; – sussiste, pertanto il fumus di fondatezza del ricorso; – d’altra parte la rilevata fondatezza prima facie del ricorso suggerisce di provvedere ai sensi del capoverso dell’art. 669-sexies cod.proc.civ. in quanto il tempo necessario alla instaurazione del contraddittorio potrebbe vieppiù pregiudicare l’attuazione del provvedimento di accoglimento avuto riguardo alla forzata inattività nell’esercizio dell’impresa e ai conseguenti danni sullo sviamento della clientela; – p.q.m. – ordina alla S.p.a. Enel Servizio Elettrico di riattivare immediatamente la fornitura di energia sull’utenza in uso a Hotel R. s.a.s. in Cosenza alla via Mediaglie d’Oro s.n. (cliente n. 808 005 557); – fissa per la comparizione delle parti davanti a sé l’udienza dell’undici gennaio duemiladodici alle ore nove e trenta; – assegna all’istante termine fino al quattro gennaio duemiladodici per la notificazione del ricorso e del presente decreto alla S.p.a. Enel Servizio Elettrico. – Si comunichi con urgenza. – Così deciso addì ventisette dicembre duemilaundici. – Il Giudice – dott. Giuseppe Greco”.
che dopo l’instaurazione del contraddittorio il provvedimento su esteso deve essere confermato in quanto la parte resistente nel costituirsi in giudizio si è limitata a dedurre genericamente l’insussistenza del c.d. “fumus boni iuris” e del c.d. “periculum in mora”, senza allegare alcuna specifica circostanza di fatto idonea a contrastare le ragioni della tutela concessa a mezzo di decreto;
che è pacifico e non contestato he le fatture emesse dalla società resistente sulla base di consumi “presunti” sono state tutte tempestivamente contestate;
che, pertanto, appare, “prima facie”, fondata la invocata tutela atipica siccome preordinata ad un giudizio di merito avente ad oggetto l’accertamento della insussistenza dei presupposti della risoluzione del contratto di fornitura per grave inadempimento del somministrato ovvero della illegittimità della diffida ad adempiere intimata dalla parte resistente;
che, conseguentemente, va pienamente confermato il decreto assunto “inaudita altera parte”;
che, in conformità alla disposizione di cui al comma 7 dell’art. 669-octies cod.proc.civ. la parte resistente va condannata al pagamento delle spese del presente procedimento;
che la condanna presuppone la determinazione degli “onorari di difesa” (espressione tratta dalla norma dell’art. 91 cod.proc.civ.);
che secondo il diritto vivente gli onorari per le prestazioni professionali dell’avvocato devono essere liquidati secondo le tabelle che siano vigenti al momento dell’esaurimento delle prestazioni stesse da individuarsi nel momento in cui la causa sia ritenuta in decisione dal giudice (ex plurimis: Cass.civ., Sez. III, 10.06.1991, n. 6557);
che tuttavia la recentissima disposizione di cui al comma 1 dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante “disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012, ha espressamente abrogato “le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico”;
che il comma 2 del citato articolo 9 ha, inoltre, stabilito che “ferma restando l’abrogazione di cui al comma 1, nel caso di liquidazione da parte di un organo giurisdizionale, il compenso del professionista è determinato con riferimento a parametri stabiliti con decreto del ministro vigilante”;
che la l’applicazione della disciplina dettata dal comma 2 dell’art. 9 del decreto legge n. 1/2012 s’impone in forza del principio “tempus regit actum” trattandosi nella specie di norma di carattere processuale;
che la evidenziata natura processuale della disposizione in parola si desume dal fatto che essa vincola gli “organi giurisdizionali” nell’attività di liquidazione di onorari professionali;
che l’interpretazione restrittiva della norma siccome volta a regolamentare esclusivamente l’attività giurisdizionale nelle controversie aventi ad oggetto la determinazione del “compenso del professionista” ovvero nei giudizi instaurati tra committente e professionista appare incompatibile con la “ratio” complessiva dell’intervento legislativo il quale è a tutta evidenza finalizzato (almeno così risulta dalla lettura della relazione governativa) a determinare uno straordinario impulso allo sviluppo economico del paese e al corretto funzionamento dei mercati nell’ambito del quale la lentezza dei processi, specialmente nel campo della giustizia civile, costituisce un oggettivo vincolo allo sviluppo;
che, quindi, la suddetta disposizione deve intendersi quale principio processuale di carattere generale in quanto vincola la giurisdizione in tutti i processi nei quali si deve provvedere alla liquidazione degli “onorari di difesa”;
che la evidente mancanza di alcuna disciplina transitoria non consente di ritenere ultrattivo il vecchio regime delle tariffe ed obbliga ad applicare il nuovo regime a tutti i processi in corso che non siano già stati definiti anche per quel che riguarda la condanna alle spese processuali;
che la suddetta e radicalmente innovativa disciplina legislativa ha, sin dalla sua entrata in vigore, sollevato drammatici interrogativi in ordine ai criteri cui il giudice è tenuto a conformarsi nel liquidare, alla chiusura del procedimento da lui trattato, gli “onorari di difesa” da porre a carico – mediante condanna – della parte soccombente in assenza dei necessari parametri stabiliti dal ministro vigilante;
che di tali gravi interrogativi si è immediatamente quanto responsabilmente fatto carico il Consiglio Nazionale Forense il cui Ufficio Studi ha evidenziato come l’assenza dei “parametri” da stabilirsi da parte del Ministro della Giustizia possa determinare “la paralisi dei procedimenti di liquidazione…in sede giurisdizionale”;
che prima dell’entrata in vigore del decreto-legge n. 1/2012 gli “onorari di difesa” venivano liquidati dal giudicante facendo riferimento alle tariffe adottate mediante regolamento del Ministro della Giustizia a seguito di delibera del Consiglio nazionale forense;
che l’espressa abrogazione di tali tariffe non consente, a giudizio di questo giudice, di utilizzare le suddette tariffe in quanto “abrogate” quali “parametri” della liquidazione facendo ricorso a criteri ermeneutici fondati sulla analogia né, tantomeno, quali “parametri” di un giudizio equitativo non ravvisandosi alcuna lacuna del regime voluto dal legislatore che possa legittimare l’impiego dello strumento della interpretazione analogica né di far postulare la “sopravvivenza” delle abrogate tariffe quali “parametri” alternativi cui far ricorso per integrare la regolamentazione legislativa;
che, paraltro, in “subiecta materia” non appare possibile neppure l’estremo ricorso alla “equità” giudiziale la quale per espressa volontà del legislatore potrà esercitarsi nel determinare il preciso ammontare degli “onorari di difesa” nell’ambito dei, presumibilmente, elastici “parametri” che il ministro competente avrà cura di adottare ma non già nell’individuare autonomamente i criteri cui ancorare una qualche determinazione equitativa;
che il principio costituzionale di “indefettibillità della giurisdizione” (cfr. Corte costituzionale n. 361/1998) del quale è corollario il dovere per l’organo investito della risoluzione di una controversia di decidere sollecitamente e conformemente a diritto la questione portata alla sua cognizione non consente all’organo giurisdizionale alcuna dilazione nelle more della emanazione del decreto ministeriale che dovrà determinare i c.d. “parametri” della liquidazione giudiziale (fatta salva, evidentemente, la possibilità in determinate fattispecie di sollecitare le parti a voler esplicitamente attribuire al giudicante un potere di mero arbitraggio sulla determinazione degli “onorari di difesa” da porre a carico della parte tenuta a sopportarli per legge);
che l’eventuale ricorso da parte del giudicante a parametri diversi da quelli espressamente previsti dal legislatore (ove non si traducesse in un mero recepimento delle abrogate tariffe che di fatto finirebbe per vanificare la volontà del legislatore) potrebbe risultare, volta a volta mortificante per il decoro della professione forense e quindi in contrasto con il primo comma dell’art. 36 della Legge fondamentale (tenuto conto che sotto l’attuale regime il professionista non potrà ottenere in sede giurisdizionale la determinazione del compenso in via autonoma nei confronti del proprio cliente, così come avrebbe potuto fare per l’innanzi) ovvero troppo gravoso per l’esercizio del diritto di difesa in giudizio (art. 24 Costituzione);
che pertanto (ove non si ritenesse possibile, come opina il sottoscritto giudice, postulare la “sopravvivenza” delle abrogate tariffe quali “parametri” alternativi a quelli previsti dalla legge) qualunque soluzione si dovesse scegliere nella determinazione degli “onorari di difesa” essa implicherebbe il rischio concreto di dar luogo a ingiustificate disparità di trattamento tra situazioni simili sul piano processuale avuto riguardo al fatto che qualsivoglia soluzione rimarrebbe fondata in ultima analisi sulla “equità” soggettiva del decidente;
che, in definitiva, le disposizioni di cui ai commi 1 e 2 dell’art. 9 del decreto legge n. 1/2012, si pongono, a giudizio del sottoscritto giudice, in netto contrasto con il canone di rango costituzionale della “ragionevolezza” (sotto il profilo della intrinseca incoerenza, contraddittorietà ed illogicità rispetto al vigente ordinamento che impone di liquidare senza dilazione gli “onorari di difesa”) laddove non prevedono alcuna disciplina transitoria limitata al periodo intercorrente tra l’entrata in vigore delle norme e l’adozione da parte del ministro competente dei “paramatri” ivi previsti;
che alla evidenziata lacuna legislativa non è possibile porre rimedio attraverso alcuna interpretazione conforme a costituzione;
che la disciplina dettata dai commi 1 e 2 dell’art. 9 del decreto legge n. 1/2012 appare, altresì, in contrasto con l’art. 24 della Costituzione in quanto vulnera il diritto di agire e resistere in giudizio rendendo incerto l’onere delle spese da affrontare nel corso del procedimento;
che la suddetta disciplina viola anche l’art. 3 della Costituzione in quanto attribuisce, di fatto e al di là di alcuna espressa attribuzione del relativo potere, una facoltà ampiamente discrezionale al giudice tenuto a liquidare gli “onorari di difesa”;
che tale facoltà appare priva di alcun ragionevole ancoraggio a parametri certi e controllabili così, peraltro, frustrando, il diritto della parte soccombente di insorgere nei confronti di un provvedimento che risulti, eventualmente, incongruo o esorbitante;
che non è neppure ipotizzabile, che il giudice, cui è fatto obbligo di applicare in via esclusiva “parametri” ad oggi inesistenti, possa omettere di decidere sulla condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali ovvero sospendere il giudizio sino alla data in cui sarà emanato il provvedimento ministeriale per la cui emanazione, peraltro, le disciplina impugnata non pone alcun termine, in quanto la sospensione, in un caso non previsto da alcuna norma processuale, integrerebbe, altresì, la violazione del principio di ragionevole durata del processo sancito dall’art. 111, comma, Costituzione;
che è pacificamente sollevabile davanti alla Corte costituzionale questione di legittimità di un decreto-legge;
che da quanto premesso consegue che la decisione relativa alla liquidazione degli “onorari di difesa” vada sospesa e gli atti trasmesssi alla Corte costituzionale, trattandosi di questione rilevante e non manifestamente infondata.
Non può, invero, negarsi che la questione sia rilevante ai fini della decisione in quanto la possibilità per l’organo giurisdizionale di decidere in ordine alle spese del presente giudizio è condizionata alla individuazione di un criterio che, nel permanere in vigore delle norme impugnate, l’ordinamento non appare fornire in alcun modo.
Né può, d’altra parte, sostenersi che la questione sia manifestamente infondata ove si tenga conto, per un verso, dell’impossibilità per il giudice di conformarsi a parametri di liquidazione obbligatori ma inesistenti e, per altro verso, dell’evidente impossibilità di determinare in termini oggettivi e controllabili gli oneri di difesa da porre a carico della parte soccombente.
Va pertanto sollevata, nei termini su esposti, questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1 e sospesa la decisione in ordine alla determinazione delle spese del procedimento da porre a carico della parte risultata soccombente.

P.q.m.

visti gli artt. 669 bis e seg. cod.proc.civ.;
conferma il provvedimento reso in data ventisette dicembre duemilaundici;
condanna la parte resistente al pagamento delle spese del presente procedimento;
visti gli artt. 134 Cost., 1, legge n. 1/1948, 23, legge n. 87/1953;
ritenuta la rilevanza e la non manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dei commi 1 e 2 dell’art. 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, recante “disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività” pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale n. 19 del 24 gennaio 2012 nei termini di cui in parte motiva;
sospende la decisione in ordine alla determinazione delle spese processuali da porre a carico della parte resistente;
ordina che la presente ordinanza sia notificata, a cura della Cancelleria, alle parti ed al Presidente del Consiglio dei ministri e comunicata ai Presidenti dei due rami del Parlamento e che sia successivamente trasmessa senza ritardo alla Corte Costituzionale.
Così deciso in Cosenza addì primo febbraio duemiladodici.
Il Giudice
dott. Giuseppe Greco

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