MANCATA CERTIFICAZIONE DEL REDDITO DELL’IMPUTATO STRANIERO

COME FARE PER LA CERTIFICAZIONE DEL REDDITO SE NON SI E’ ITALIANI?

Certificazione del reddito per l'ammissione al gratuito patrocinio

Certificazione del reddito per l’ammissione al gratuito patrocinio

Abbiamo già  parlato di reddito, e di certificazione dello stesso, più volte. Quando si compila l’istanza all’ammissione al patrocinio a spese dello Stato si individuano anche i familiari conviventi e si autodichiara il reddito di ciascuno, come si vede nell’esempio di istanza di ammissione che trovi QUI.

Questo consente poi alla competente Agenzia delle Entrate di svolgere ogni verifica di legge in merito alla corretta dichiarazione e l’ammissione al beneficio dei soli aventi diritto. Chiaramente, se si è dichiarato il falso, dalla verifica dell’Ufficio Finanziario consegue l’avvio di un procedimento penale e il rigetto dell’ammissione eventualmente sopraggiunta: ne abbiamo parlato QUI.

E la verifica?

Tutto questo accade se si è italiani poichè l’Agenzia delle Entrate, in quanto promanazione del Ministero delle Finanze, può verificare i redditi di tutti i contribuenti italiani. Chiaramente, vista l’impossibilità  della verifica in caso di contribuente non italiano, la norma prevede che l’istanza di ammissione al Gratuito Patrocinio presentata dallo straniero debba essere corredata di apposita Certificazione Consolare attestante il reddito del richiedente nel paese di provenienza.

Ai fini dell’ammissione, il reddito complessivamente indicato deve sempre rispettare i tetti massimi previsti dalla normativa italiana, ad oggi pari a euro 11.528,41 oltre alla maggiorazione di euro 1.032,00 per ogni familiare convivente (la maggiorazione vale solo per i procedimenti penali).


La massiva presenza di detenuti stranieri che fruiscono del Patrocinio a spese dello Stato ha però posto il problema che sovente non è facile ottenere la certificazione consolare dell’indagato/imputato non italiano prima del compimento delle necessarie attività  processuali in sua difesa. In tal frangente è quindi sorta questione circa l’ammissibilità  del Gratuito Patrocinio in difetto, temporaneo, di certificazione reddituale. Lo straniero si trovava perciò in una condizione in cui non poteva garantirsi un avvocato di fiducia (con il gratuito patrocinio) perchè non aveva in suo possesso la documentazione da allegare all’istanza di ammissione.

Inammissibilità?

Si generava così una chiara compressione del diritto di difesa che non può essere pregiudicato – rilevava il ricorrente – per effetto di comportamenti omissivi o negligenti di soggetti diversi dallo straniero richiedente, nella specie dall’autorità  consolare.

La Cassazione Penale è intervenuta statuendo che l’istanza presentata dall’imputato straniero detenuto non può essere dichiarata inammissibile per la mancata produzione della certificazione consolare relativa ai redditi eventualmente prodotti all’estero, ma il decreto di ammissione al beneficio può invece essere successivamente revocato se entro i termini di legge tale certificazione non viene prodotta.

Qualora, nel termine anzidetto, la certificazione non sia stata prodotta, il decreto di ammissione va revocato, a norma dell’art. 112, comma 1, lett. c), citato D.P.R.. A ciò deve provvedere, lo si ricava dall’art. 112, comma 3 il giudice che procede al momento della scadenza dei termini suddetti: Cass. pen., sez. IV 22-04-2009 (15-01-2009), n. 17003 – Pres. LICARI Carlo – B.N. (sentenza che annulla con rinvio il Trib. Chiavari, 11 Gennaio 2008)

Se, tuttavia, detto giudice non revoca il decreto di ammissione, non può provvedervi altro giudice (tanto meno invocando un’insussistente causa di inammissibilità  della domanda) qualora nel frattempo la certificazione sia stata prodotta, non assumendo detta tardiva produzione carattere invalidante della dichiarazione sostitutiva, ma potendo semmai, a quel punto, essere considerata ridondante.

Avv. Alberto Vigani




 

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Riferimenti normativi

D.P.R. 30-05-2002, n. 115, art. 79

D.P.R. 30-05-2002, n. 115, art. 94

D.P.R. 30-05-2002, n. 115, art. 112

Giurisprudenza correlata

Conformi

Cass. pen., sez. IV, 19-11-2008, n. 43312

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CASSAZIONE PENALE – SENTENZA n. 17003/009

FATTO E DIRITTO

1. In data 23 maggio 2002, B.N. veniva sottoposto a custodia cautelare in carcere a seguito di ordinanza emessa dal Giudice per le indagini preliminari del Tribunale di Genova. Per art. 416 bis c.p. ed altro.

Il 27 marzo 2003, mentre ancora si trovava in custodia cautelare in carcere, presentava richiesta di ammissione al patrocinio dei non abbienti.

Con decreto in data 31 marzo 2003, il Giudice per le indagini preliminari lo ammetteva al patrocinio a spese dello Stato, dando atto che la domanda conteneva la dichiarazione sostitutiva di certificazione di cui al D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 94, comma 2.

All’esito dell’udienza preliminare, conclusasi con il rinvio a giudizio dell’imputato, il giudice, con decreto del 2 febbraio 2005, liquidava al difensore il compenso richiesto.

Con sentenza in data 19 maggio 2005, il Tribunale di Chiavari pronunciava sentenza di assoluzione nei confronti dell’imputato.

2. A seguito del passaggio in giudicato della stessa, il difensore chiedeva la liquidazione del compenso relativo al grado di giudizio, ma il Tribunale, con provvedimento del 22 dicembre 2005, rigettava la richiesta, al contempo revocando il decreto di ammissione al patrocinio.

Osservava in proposito:

– che, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 3, la certificazione dell’autorità  consolare, prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2, può essere prodotta, se il cittadino di Stati non appartenenti all’Unione europea è detenuto, entro venti giorni dalla data di presentazione dell’istanza, dal difensore o da un componente della famiglia dell’interessato;

– che detta certificazione non era stata prodotta, nei termini previsti dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 3;

– che ciò integrava causa di revoca del D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 112, comma 1, lett. c);

– che il B. non aveva provato l’impossibilità  di produrre la certificazione, che giustificava, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 2, la sostituzione della stessa con una dichiarazione.

3. Con l’ordinanza indicata in epigrafe, il Tribunale di Chiavari rigettava l’opposizione presentata, avverso l’anzidetto provvedimento, dal difensore di B.N..

Osservava:

– che il Giudice per le indagini preliminari di Genova aveva ammesso B. al patrocinio a spese dello Stato “in carenza della certificazione dell’autorità  consolare albanese prevista dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2”;

– che la presentazione della certificazione dell’autorità  consolare è prevista a pena di inammissibilità della domanda;

– che, nel caso di specie, detta certificazione non era stata prodotta “ne originariamente ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2, ne entro il termine indicato dal D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 3;

– che il richiedente, inoltre, non aveva dimostrato, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 79, comma 2, l’impossibilità  di ottenere dal consolato albanese la certificazione necessaria a giustificare l’ammissione al beneficio;

– che non potevano considerarsi idonee a provare detta impossibilità  le informazioni ricavabili dalla nota di polizia giudiziaria concernente le posizioni di M.V. e S.V., atteso che gli accertamenti svolti presso il consolato albanese riguardavano soltanto le due donne ed il periodo in cui erano stati svolti e non erano, pertanto, “automaticamente estensibili alla situazione dell’imputato”;

– che, con riguardo alla competenza a provvedere, contestata dall’opponente sul presupposto che la stessa, a norma dell’art. 112, comma 3 apparterebbe al “magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti” (quindi nella specie il Giudice per le indagini preliminari di Genova), doveva ritenersi applicabile, nel caso in esame, seguendo la linea interpretativa suggerita dalla Corte costituzionale (sentenza 7 novembre 2007, n. 369), il combinato disposto del comma 1, lett. d) e del citato art. 112, comma 3 alla stregua del quale può procedersi alla revoca, d’ufficio, non oltre cinque anni dalla definizione del processo, se risulta provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92 e, appunto, “competente a provvedere è il magistrato che procede al momento della scadenza dei termini suddetti”;

– che non potevano, infine, ravvisarsi le lamentate violazioni ai principi contenuti nell’art. 107 Cost. Europea, nell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e nell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali, ben potendo la legislazione nazionale disciplinare le modalità  di accesso al beneficio stabilendo limiti di natura sostanziale e formale purchè non irragionevoli, dovendosi comunque bilanciare le esigenze di garanzia dell’amministrazione della giustizia e del patrimonio pubblico con quella di accesso “effettivo” alla giustizia.

4. Avverso l’anzidetta ordinanza, ha proposto ricorso per cassazione l’imputato, per mezzo del difensore, chiedendone l’annullamento ed affidando le proprie doglianze a cinque motivi.

4.1. Con il primo motivo deduce la violazione dell’art. 648 c.p.p., rilevando che il decreto di revoca era stato emesso quando ormai la sentenza di assoluzione era passata in giudicato ed osservando che il giudicato sana l’eventuale nullità  o inammissibilità  di qualsiasi atto del processo.

4.2. Con il secondo motivo lamenta la violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 94, comma 3.

Rileva:

– che il potere di revoca spettava, alla luce dell’art. 112, comma 1, lett. c), e comma 3 al giudice per le indagini preliminari procedente, che aveva ammesso il richiedente al patrocinio a spese dello Stato;

– che, invero, l’art. 112, comma 1, lett. a), b) e c) contempla vizi di carattere formale che giustificano l’eventuale revoca alla scadenza di precisi termini e la correlata competenza a provvedere del magistrato che procede al momento della loro scadenza;

– che non sussiste un persistente potere, esercitabile in qualsiasi tempo, di revoca per ritenuti vizi formali;

– che soltanto nell’ipotesi di revoca di cui all’art. 112, comma 1, lett. d), in quanto giustificata dalla sussistenza di una situazione reddituale difforme da quella dichiarata, è individuato come competente a provvedere un giudice diverso rispetto a quello che ha disposto l’ammissione al patrocinio;

– che, in altre parole, la possibilità  di revoca, anche dopo la definizione del procedimento, è consentita soltanto qualora sia scoperta la simulazione dell’anzidetta situazione reddituale e non anche in presenza di vizi formali;

– che, in conclusione, il Tribunale di Chiavari non poteva revocare l’ammissione per tardiva allegazione della certificazione consolare, atteso che tale potere, sussistendone le condizioni, apparteneva esclusivamente al giudice per le indagini preliminari che aveva ammesso l’imputato al beneficio.

4.3. Con il terzo motivo si duole della violazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 79, comma 2.

Osserva:

– che l’inammissibilità  sanziona la mancata produzione della certificazione soltanto qualora questa non sia sostituita dall’autocertificazione che puè essere inserita anche nel corpo della domanda e che, se ritenuta esaustiva, consente al giudice di disporre l’ammissione senza attendere lo spirare del termine di cui all’art. 79, comma 3;

– che il Giudice per le indagini preliminari aveva, invero, provveduto all’ammissione dell’imputato al patrocinio senza attendere lo spirare di quel termine;

– che il Tribunale di Chiavari non poteva, pertanto, arrogarsi il potere di sovrapporre la propria valutazione a quella del giudice che aveva disposto l’ammissione al beneficio, ritenendo sufficiente l’autocertificazione dell’interessato;

– che, in ogni caso, la difesa aveva provato inizialmente anche l’impossibilità  di ottenere, nei tempi previsti, la certificazione dell’autorità  consolare (ottenuta soltanto dopo diverso tempo);

– che, nel medesimo processo, anche le sopracitate cittadine (OMISSIS) V.M. e V.S. erano state prontamente ammesse al beneficio e la polizia giudiziaria aveva riferito che il console albanese, nei primi mesi del 2003, aveva affermato di non essere in grado di compiere accertamenti patrimoniali sui propri connazionali;

– che gli accertamenti in questione “coprivano lo stesso periodo” in cui era stata presentata la domanda di ammissione di B. (e cià smentisce il Tribunale in punto di “differenze cronologiche”);

– che il fatto che, nel maggio 2004, B. fosse riuscito ad ottenere la certificazione consolare non significava affatto che in precedenza si fosse verificata una “mera difficoltà  contingente” di acquisizione.

4.4. Con il quarto motivo denuncia la violazione dell’art. 107 della Cost. Europea, dell’art. 47 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea e dell’art. 6 della Convenzione per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle libertà  fondamentali.

Il diritto di difesa non può essere pregiudicato – rileva il ricorrente – per effetto di comportamenti omissivi o negligenti di soggetti diversi dallo straniero richiedente, nella specie dall’autorità  consolare.

In casi siffatti il giudice deve attivarsi d’ufficio e l’onere della prova deve essere “spostato” dal privato allo Stato”. 4.5. Con l’ultimo motivo deduce violazione di legge non sussistendo inammissibilità  dell’istanza in caso di tardiva presentazione della certificazione consolare.

Osserva in proposito che l’inammissibilità  era in origine prevista dalla L. 30 luglio 1990, n. 217, art. 5, comma 6.

La previsione era stata, peraltro, soppressa nel momento in cui l’art. 5 era stato modificato dalla L. 29 marzo 2001, n. 134. 5. Il ricorso è fondato.

In particolare, sono fondati, nei termini di seguito precisati, il secondo, il terzo e l’ultimo motivo del ricorso; restano assorbite le restanti doglianze.

Va rilevato, anzi tutto, che, come incidentalmente affermato anche dalla Corte costituzionale nella citata sentenza n. 369 del 2007, la mancata produzione della certificazione consolare comporta l’inammissibilità  della domanda soltanto in difetto (non anche in presenza) della dichiarazione sostitutiva di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 94, comma 2.

Neppure è previsto a pena di inammissibilità  della domanda il rispetto del termine, decorrente dalla data di presentazione della stessa, entro il quale, a norma dell’art. 94, comma 3, il detenuto può produrre la certificazione, ne logicamente potrebbe esserlo, atteso che, in tali casi, la domanda è accolta.

Ciò nondimeno, qualora, nel termine anzidetto, la certificazione non sia stata prodotta, il decreto di ammissione va revocato, a norma dell’art. 112, comma 1, lett. c), citato D.P.R..

A ciò deve provvedere, lo si ricava dall’art. 112, comma 3 il giudice che procede al momento della scadenza dei termini suddetti (che, nel caso di specie, era il giudice per le indagini preliminari).

Se, tuttavia, detto giudice non revoca il decreto di ammissione, non può provvedervi altro giudice (tanto meno invocando un’insussistente causa di inammissibilità  della domanda) qualora nel frattempo la certificazione sia stata prodotta, non assumendo detta tardiva produzione carattere invalidante della dichiarazione sostitutiva, ma potendo semmai, a quel punto, essere considerata ridondante.

Ne può essere confusa l’ipotesi di revoca dianzi indicata con quella di cui all’art. 112, comma 1, lett. d) che va disposta, anche se il processo è ormai definito (purchè non oltre cinque anni dalla sua definizione), qualora risulti provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92.

Ipotesi quest’ultima estranea al caso in esame, in cui non risultava essersi verificato detto presupposto di fatto (l’accertato difetto, originario o sopravvenuto, delle condizioni di reddito), ma si trattava soltanto della mancanza della certificazione consolare, necessaria al fine di consentire al giudice di verificare la veridicità  della dichiarazione sostitutiva.

E, come si è detto, tale ultima situazione rileva esclusivamente con riguardo al caso di revoca di cui all’art. 112, comma 1, lett. c).

Nè la tesi accolta nel provvedimento impugnato trova conforto – come sostenuto dal Tribunale – nella richiamata decisione della Corte costituzionale, che ha dichiarato la manifesta inammissibilità  della questione di legittimità  costituzionale dell’art. 112 “nella parte in cui non consente al giudice della liquidazione la revoca del decreto di ammissione al patrocinio in presenza di una causa di inammissibilità  della domanda”.

E’ vero che la Corte censura il giudice rimettente per non avere, nel l’incidente di costituzionalità , tenuto in alcuna considerazione il disposto del comma 1, lett. d), del censurato art. 112 e per avere omesso, nel motivare in ordine alla non manifesta infondatezza della questione, di esplorare la possibilità  di praticare una lettura alternativa della norma stessa, “eventualmente idonea a dirimere il dubbio di legittimità  prospettato”.

Ma, giustappunto, ciò che si contesta al giudice rimettente è di non avere neppure tentato “letture alternative” della disposizione impugnata; non si afferma, in altre parole, nella decisione della Corte, che un'”attenta” ed alternativa lettura avrebbe suggerito o imposto l’applicazione al caso di specie della disposizione impugnata, così risolvendo il dubbio di legittimità  costituzionale.

Come si è detto, invero, la disposizione di cui alla all’art. 112, comma 1, lett. d) nulla ha a che vedere con il caso in esame, atteso che non risultava provata la mancanza, originaria o sopravvenuta, delle condizioni di reddito di cui agli artt. 76 e 92.

Deve, inoltre, considerarsi che il Giudice per le indagini preliminari aveva la possibilità , attribuitagli dall’art. 96, comma 2, in presenza di fondati motivi per ritenere che l’interessato non versasse nelle indicate condizioni di reddito, di respingere l’istanza.

Non lo aveva, però, fatto; anzi aveva accolto la domanda e non risulta che, prima di provvedere, avesse trasmesso l’istanza, unitamente alla relativa dichiarazione sostitutiva, alla Guardia di finanza per le necessarie verifiche.

Aveva, dunque, il Giudice per le indagini preliminari ammesso il B. al patrocinio dei non abbienti sulla base della dichiarazione sostitutiva della certificazione.

Ciò sposta l’attenzione sull’art. 94, comma 2 che consente detta sostituzione in caso di impossibilità  a produrre la documentazione richiesta ai sensi dell’art. 79, comma 2.

Deve, pertanto, ritenersi che il giudice per le indagini preliminari avesse accertato la sussistenza di detta impossibilità.

E, se si considera che il provvedimento ammissivo non è stato impugnato, non può che ritenersi preclusa ogni ulteriore valutazione in merito, anche se incidentale, da parte del giudice chiamato a decidere sull’istanza di liquidazione del compenso al difensore (nel caso in esame, tra l’altro, il giudice dell’udienza preliminare aveva, senza frapporre ostacolo alcuno, proceduto a liquidare il compenso relativo alla fase).

Si aggiunga che le considerazioni svolte dal Tribunale in ordine all’affermata insussistenza dell’impossibilità  di produrre, al momento della domanda (nonchè, per diverso tempo, anche successivamente), la certificazione consolare non potranno, come correttamente affermato dal ricorrente, essere ricordate per la loro coerenza con le risultanze processuali.

La decisione impugnata va, in conclusione, annullata con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Chiavari che si atterrà  ai principi enunciati.

P.Q.M.

La Corte annulla l’ordinanza impugnata, con rinvio per nuovo esame al Tribunale di Chiavari.

Il Presidente

Il Cancelliere

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